iPhone 6S (foto LaPresse)

Dopo la brutta trimestrale, è già finita la storia d'amore tra Apple e la Cina?

Eugenio Cau
La compagnia ha presentato i risultati fiscali per il secondo trimestre del 2016, e per la prima volta dopo tredici anni di crescita ha registrato un crollo del fatturato del 13 per cento

Roma. Al keynote di Apple dello scorso settembre, il solito evento oceanico trasmesso in diretta streaming mondiale in cui Apple ha presentato i suoi ultimi gioielli, gli iPhone 6S, sugli schermi dei nuovi device era tutto un lampeggiare di applicazioni cinesi. Il ceo in persona, Tim Cook, diede dimostrazione delle nuove funzioni dell’iPhone usando WeChat, la app di messaggistica diffusissima in Cina ma relativamente poco usata sui mercati americano ed europeo. Il messaggio era chiaro, e Cook lo avrebbe ripetuto esplicitamente un mese dopo: “Stiamo investendo in Cina non solo per il prossimo trimestre o per quello dopo, ma per i prossimi decenni. La Cina sarà il più grande mercato mondiale per Apple”. Per anni Apple ha venduto i suoi prodotti in Cina a ritmi eccezionali, non solo iPhone, ma anche Mac e iPad, le cui vendite nei mercati più maturi sono stagnanti da tempo. Il telefono di Apple era il prodotto più richiesto sul mercato, le file chilometriche davanti agli Apple store per aggiudicarsi i nuovi device il giorno dell’uscita si erano spostate da New York a Pechino, e perfino la first lady Peng Liyuan era stata sorpresa, durante il primo viaggio all’estero del marito Xi Jinping nel 2013, a scattare foto con un iPhone nuovo fiammante.

 

Ma la storia d’amore tra Apple e la Cina potrebbe essersi interrotta prematuramente. Martedì Apple ha presentato i risultati fiscali per il secondo trimestre, e per la prima volta dopo tredici anni di crescita ha registrato un crollo del fatturato del 13 per cento. E’ un passo falso duro che ieri ha fatto crollare il titolo in Borsa, e la colpa è in gran parte della Cina. Secondo i dati diffusi dalla compagnia stessa, il 58 per cento delle perdite registrate nell’ultimo trimestre deriva dal crollo delle vendite nella cosiddetta “Grande Cina”, che comprende anche Hong Kong e Taiwan. Nel secondo trimestre dell’anno, le vendite sono crollate del 26 per cento, con una perdita netta di 4,3 miliardi di dollari. E’ il peggior dato di crescita tra tutti i mercati in cui Apple è presente, e i numeri sono ancora più preoccupanti se si conta che soltanto un anno fa la crescita delle vendite su base annuale era un incredibile 71 per cento. “Quando guardo al quadro più ampio penso che (le vendite in) Cina non siano così deboli come si dice”, ha detto Cook ieri ai giornalisti dopo la diffusione della trimestrale. “Vedo la Cina come molto più stabile di quella che è la visione comune. Rimaniamo molto ottimisti sulla Cina”. Una parte importante del crollo, è vero, si deve a Hong Kong. Se scorporato, il calo delle vendite nella Cina continentale è “solo” dell’11 per cento. Ma l’ex colonia britannica è stata per lungo tempo il luogo in cui i ricchi turisti  cinesi andavano a comprare il loro iPhone, e dunque il dato di Hong Kong è più grave di quello che sembra.

 

Apple ha bisogno della Cina più di qualsiasi altra compagnia della Silicon Valley. Tim Cook non è l’unico ad aver lanciato la sua charme offensive nei confronti di Pechino. E’ famoso, per esempio, il cinese stentato con cui il ceo di Facebook, Mark Zuckerberg, tenta di ingraziarsi le élite locali. Ma Apple più di ogni altro ha bisogno della ricca e sempre in crescita classe media cinese, l’unica, tra i paesi emergenti, a potersi permettere i prezzi elevati dei suoi device. I mercati maturi, americano ed europeo, ormai sembrano saturi, come hanno mostrato i dati appena diffusi. Hanno rallentato prima le vendite dei Mac e degli iPad, il cui ciclo di vita è più lungo, e poi, questo trimestre, è arrivato il crollo anche per gli iPhone, che valgono il 65 per cento del fatturato della società. Servono nuovi mercati in cui espandersi, ma se Facebook e Amazon, per esempio, possono cercare sbocchi investendo forte su servizi a basso costo in India, Apple ha solo la Cina e la sua classe media (questo anche se in India le vendite sono cresciute del 56 per cento su base annua: lo stesso Cook ha parlato di prospettive decennali per vedere risultati consistenti nel paese).

 

Il problema principale, per Apple, è che anche la danarosa classe media cinese sta iniziando a sentire gli effetti della crisi economica che ha colpito il paese da un paio d’anni. Con il pil cinese in calo e i mercati finanziari spesso inaffidabili, i cinesi stanno dimostrando meno propensione alla spesa. Pochi mesi fa Cook ha parlato per la Cina di una situazione “turbolenta”, che ora si sta mostrando nei risultati economici. Apple, inoltre, è sempre più sotto attacco da parte della concorrenza locale. I due principali produttori di smartphone cinesi, Xiaomi e Huawei, hanno iniziato da poco tempo ma con successo crescente ad attaccare lo stesso segmento di mercato. Xiaomi, nata in maniera quasi esplicita come una copia di Apple (non solo nei device: il suo fondatore portava nei keynote gli stessi dolcevita di Steve Jobs), adesso è una compagnia matura che fa prodotti di alta fascia e molto competitivi anche dal punto di vista del prezzo. Huawei, conosciuta nel mondo per i suoi smartphone economici, punta sulla qualità e conquista fette sempre più ampie di mercato. Il nazionalismo anche commerciale cinese, cioè una malcelata propensione da parte del governo a promuovere le società locali, fa il resto. E’ forse proprio quest’ultimo elemento, l’imprevedibilità del contesto politico in Cina, a essere il più pericoloso per Apple.

 

Il Partito comunista cinese ha imbarcato il paese in un processo gigantesco di transizione dell’economia verso un modello basato sul consumo, vorrebbe che la Cina iniziasse a esportare alta tecnologia e non più beni a basso costo, e ha un rapporto di amore e odio con le grandi società straniere, portatrici di ricchezza, sì, ma contrarie ai desiderata nazionalisti del Politburo. Già nel 2013 Apple era stata messa sotto accusa dalla televisione di stato cinese per i servizi alla clientela che, a detta degli autori del programma, erano sotto la media. Ma i problemi si moltiplicano in maniera esponenziale quando alle frizioni commerciali si sommano quelle politiche. La settimana scorsa l’amministrazione cinese ha costretto Apple a chiudere il suo negozio digitale di ebook e quello di film, che avevano aperto appena sei mesi fa. Non sono state date ragioni, ma gli esperti ipotizzano che il governo abbia voluto evitare il rischio che negli store di Apple, su cui il governo ha poco controllo, potessero essere diffusi contenuti pericolosi a livello politico. La storia d’amore tra Apple e la Cina è piena di inciampi. Hanno bisogno l’una dell’altra, ma in ogni relazione romantica sono necessari dei sacrifici. Apple rischia di doverne fare troppi.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.