Un combattente di Hezbollah al fianco di un lanciarazzi

La tregua in Siria è finita e arrivano anche i parà iraniani

Daniele Raineri
Si parla di missili terra–aria finiti in mano ai gruppi armati a nord, mancano le prove. “E’ stata una pausa per riorganizzarci”

Roma. Ieri la Jabhat al Nusra (al Qaida in Siria)  ha messo su internet un video del pilota siriano catturato martedì, dopo essersi lanciato dal suo caccia russo Su-22 in fiamme. Il pilota, che portava sul volto segni di percosse (il suo copilota è stato ucciso) ha detto di non essere stato abbattuto da un missile terra-aria, ma da un incendio a bordo scoppiato dopo che il velivolo era stato colpito da normale fuoco da terra durante un bombardamento. La questione è interessante perché invece il giorno prima il gruppo islamista Ahrar al Sham aveva rivendicato l’abbattimento grazie a un missile terra aria portatile e il 12 marzo lo stesso gruppo aveva davvero abbattuto un altro aereo. La domanda è: la guerra in Siria è arrivata allo sviluppo di cui si parla dal 2012, anno in cui cominciarono i bombardamenti indiscriminati del governo del presidente Bashar el Assad, ovvero l’arrivo in mano ai gruppi armati di missili terra aria? Se così fosse, il dislivello tra il fronte Assad-russi-iraniani-Hezbollah e il fronte dei gruppi armati (che include fazioni appoggiate dall’estero e fazioni estremiste) si ridurrebbe. Per ora questa opzione era stata esclusa perché il rischio che un missile sia passato o venduto ai gruppi terroristici, Stato islamico incluso, e quindi usato per un attentato è considerato troppo alto. Alcuni stati sponsor della fazioni armate, come l’Arabia Saudita, vorrebbero fornire i missili, ma Washington ha posto il suo veto. Non c’è una risposta definitiva alla questione per ora, ma è chiaro che questo periodo di cessazione delle ostilità cominciato a fine febbraio e ormai finito è servito a tutte le fazioni per riarmarsi almeno dal punto di vista convenzionale, come scrive il giornalista americano Thanassis Cambanis dopo un’indagine sul confine turco-siriano. La tregua in Siria è finita, anche se in qualche modo si continua a pretendere che sia in vigore per dare un’opportunità ai negoziati di pace fra opposizione e governo. Come dice un comandante ribelle a Cambanis, “è stata una pausa per riorganizzarci” e anche diretti avversari potrebbero dire la stessa cosa.

 

Gli scontri sono ricominciati su fronti più numerosi rispetto a febbraio. C’è quello orientale, dove il governo avanza contro lo Stato islamico dopo la presa di Palmira, c’è la campagna aerea dell’America contro la Jabhat al Nusra – due bombardamenti in due giorni – e c’è di nuovo battaglia a sud di Aleppo, dove un misto di gruppi ha attaccato come risposta “ai bombardamenti del governo”. E’ interessante notare come a sud di Aleppo la battaglia stia infuriando ma per ora non siano intervenuti gli aerei russi, che pure sono ancora presenti in Siria anche dopo la dichiarazione ufficiale di ritiro da parte del governo di Mosca e che tanto hanno aiutato Assad a partire dal 30 settembre. Forse per supplire a questa mancanza di appoggio, l’Iran ha spedito in Siria un suo reparto di paracadutisti, nel ruolo di consiglieri militari – ed è un ruolo del quale è lecito dubitare, considerato che nei primi sei giorni di aprile sono morti otto iraniani e anche undici combattenti libanesi di Hezbollah, che operano a stretto contatto con le truppe di Teheran. Queste sono perdite associabili alla prima linea.

 

Senza l’aiuto straniero il governo di Assad per ora non riuscirebbe a gestire la situazione, ma mercoledì prossimo ci sono elezioni parlamentari nel venti per cento del paese controllato da Damasco. Al paesaggio di rovine creato dalla guerra civile e dal terrorismo si aggiunge sempre di più anche la rovina economica: come scrive Aron Lund, un esperto dell’istituto Carnegie, la perdita di valore del pound siriano sta accelerando e provoca un tasso d’inflazione insopportabile: il prezzo di alcuni beni essenziali, come per esempio il riso, è quintuplicato. I depositi di moneta oggi valgono un decimo rispetto al 2011.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)