Latifa Ibn Ziaten

La francese Latifa Ibn Ziaten, madre di una vittima del terrorismo, premiata in America

Mauro Zanon
L’islamista Merah ha ucciso suo figlio, lei combatte la radicalizzazione

Parigi. “Women of courage”. Latifa Ibn Ziaten, madre di Imad, assassinato a Tolosa nel 2012 dal terrorista islamico Mohamed Merah, ha ricevuto ieri a Washington dal segretario di stato americano John Kerry il premio “Women of courage”, per il suo impegno nella lotta contro la radicalizzazione dei giovani. Come le altre tredici madri coraggio, ognuna di diversa nazionalità, decorate dalla diplomazia americana, Latifa, francese e musulmana praticante di origine marocchina, si è distinta in questi anni per la forza con la quale è riuscita a salvare moltissimi giovani, andando nelle scuole, nelle prigioni, nelle associazioni, nelle case e nelle strade per promuovere il dialogo interreligioso e combattere quelle che chiama le “tentazioni estremiste”. “Non bisogna cedere alla paura, se si ha paura non si fanno passi avanti. E’ questo che vogliono i terroristi. Fino a quando avremo paura, loro guadagneranno terreno”, ha detto ieri all’Afp, lei che l’11 marzo scorso è stata anche insignita della Legion d’onore.

 

Nell’aprile 2013, a un anno di distanza dalla morte del figlio, freddato da Merah con un colpo alla testa in un parcheggio di Tolosa, ha deciso di fondare un’associazione in suo onore, “Imad Ibn Ziaten pour la jeunesse et pour la paix”, con la quale percorre la Francia in lungo e in largo per trasmettere la sua idea di vivre-ensemble. “Ho dissuaso tre giovani dal partire per la Siria, lavoro con giovani ragazze che si sono convertite e con molti genitori che si trovano in difficoltà”, ha spiegato ieri la madre coraggio francese. Che a febbraio ha aperto anche un centro di accoglienza a Garges-les-Gonesse, nel Val-d’Oise, la Maison Imad pour la jeunesse et les parents. “L’obiettivo di questo centro è anzitutto quello di creare un legame e di parlare con i giovani, ascoltarli e non abbandonarli”, ha affermato Latifa. Durante la cerimonia di premiazione di ieri, Kerry ha ricordato le parole con le quali Latifa ha dato il via al suo impegno contro la radicalizzazione: “Vorrei salvare quelli che sono all’origine della mia sofferenza”. Come quei giovani che incontrò poco dopo la strage di Tolosa e Montauban mentre celebravano Mohammed Merah come un “eroe”.


Latifa Ibn Ziaten con una foto di suo figlio


 

Il figlio, Imad Ibn Ziaten, fu la prima vittima del mujaheddin franco-algerino che assassinò tre bambini all’entrata della scuola ebraica di Montauban, assieme a un professore e ad altri due militari che si trovavano nelle vicinanze della loro caserma. Furono sette le persone uccise da Merah e cinque quelle ferite. Da quel tragico marzo 2012, Latifa Ibn Ziaten non ha mai smesso di allertare l’opinione pubblica sulla proliferazione di focolai jihadisti su tutto il territorio francese, non ha mai smesso di ripetere che “ci sono dei Merah dappertutto”, ma in pochi le hanno dato retta. “Avevo dato l’allarme e avevo detto: ci sono dei Merah dappertutto. La mia voce non è stata ascoltata. Per questo l’abbiamo pagata a caro prezzo lo scorso 13 novembre”, ha dichiarato recentemente in un’intervista a Europe 1. Non ha aspettato che Eric Zemmour sul Figaro squarciasse il velo di ipocrisia sulla situazione delle banlieue, scrivendo che la Francia “è piena di Molenbeek”, né tantomeno il ministro della Città Patrick Kanner, che ha evocato domenica l’esistenza di un centinaio di comuni con “similitudini potenziali” con il covo di jihadisti belga.

 

Quella di Latifa è una battaglia quotidiana che dura da quattro anni, condotta con determinazione nei quartieri popolari delle grandi metropoli francesi, lì dove la République è in ritirata e i primi educatori dei giovani sono gli imam, spesso alla ricerca di qualche candidato alla jihad. La lotta contro la radicalizzazione, dopo la morte violenta di suo figlio, è diventata per Latifa la battaglia della vita. “La gioventù non ha più speranze, non ha più sogni né punti di riferimento. Sono sul campo e vedo questa sofferenza. Alcuni sono completamente disorientati sulla loro identità”, constata amaramente. Come Nadia Remadna della Brigade des mères, associazione che aiuta le famiglie a far fronte ai problemi quotidiani dei loro figli nei quartieri popolari, Latifa è l’emblema di quelle donne consapevoli di avere un ruolo centrale nella lotta contro l’islam radicale. Passa da un loro sussulto il salvataggio di questi giovani alla deriva.