Ragazze palestinesi studiano il corano (foto LaPresse)

Le donne, la vera chiave contro l'islam violento

Claudio Cerasa
Terrore, Belgio, sharia. Perché servono molte Sara Khan per scoprire le ipocrisie dell’islamicamente corretto – di Claudio Cerasa

Sara Khan è una giovane musulmana cresciuta in Gran Bretagna che qualche tempo fa ha fondato un piccolo e geniale movimento di nome “Inspire” che pur non avendo avuto grande successo ha contribuito a portare avanti una idea giusta: non si può combattere il fondamentalismo di matrice islamista senza che siano per prime le donne musulmane ad alzare il velo sulle ipocrisie dell’islamicamente corretto e sulla condizione drammatica in cui spesso si ritrovano a vivere le donne di fede musulmana.

 

Il tentativo di Sara Khan di creare nella comunità islamica un’internazionale del femminismo – capace di ammettere che il fondamentalismo islamista non può essere combattuto senza considerare con onestà la cornice della religione che ispira quella forma di integralismo – è una testimonianza importante: rappresenta uno sforzo sincero di costruire dall’interno della comunità islamica gli anticorpi al jihad riconoscendo che esiste un problema con la parola “violenza” all’interno di una certa interpretazione del Corano. Una violenza che come sappiamo colpisce l’occidente attraverso guerre, terrore e attentati e che ha un suo riflesso in una violenza parallela che è quella che colpisce ogni giorno milioni di donne la cui vita è segnata da una rigida interpretazione da parte degli uomini di un versetto del Corano (2:223): “Le vostre donne sono come un campo per voi, venite dunque al vostro campo a vostro piacere”.

 

Il poeta siriano Adonis, a ragione, sostiene che la questione femminile è la cartina di tornasole del rapporto tra islam e modernità e vede nell’incapacità dell’islam di combattere dal suo interno la violenza perpetrata alla donna la stessa incapacità che ha una parte consistente dell’islam di condannare con onestà il fondamentalismo di matrice islamista.

 


Sara Khan


 

Sara Khan, raccogliendo il recente invito del ministro dell’Interno inglese Theresa May (“British Muslim women must challenge extremism and fight the Islamic State”), ha capito che non ci potrà essere quella rivoluzione luterana nell’islam tanto invocata dalla nostra adorata Ayaan Hirsi Ali se le donne dell’islam non condanneranno all’unanimità la condizione di schiavitù in cui, tra lapidazioni, infibulazioni, stupri, mutazioni genitali, matrimoni infantili, torture e giganteschi apartheid di genere, spesso vive una donna musulmana. E dire che laddove aumentano i veli e aumentano i burqa e aumentano i casi di sottomissione della donna c’è una buona probabilità che aumenti anche il radicalismo violento rischia ormai di essere quasi una tautologia. “Io – scrive Adonis nel suo libro capolavoro “Islam e violenza”, dove invita le donne a emanciparsi più come individui che come comunità – misuro il livello di avanzamento di una società dal trattamento che riserva alla questione femminile e sotto questa prospettiva oggi la società arabomusulmana è fuori dalla Storia. Qui il femminile è messo al bando. Rimangono l’amore del possesso e un piacere con le fanciulle (houri) alimentato dai versetti coranici. Di fatto, non sono donne, ma creature che incarnano soltanto la sessualità. La donna in terra esiste. Ma l’islam alimenta un immaginario fuori del comune facendo appello a qualcosa di ancor più straordinario: la houri. La nozione di paradiso è fondata su questo piacere senza limiti e completamente diverso. Il cielo, come la terra, è fondato sulla sessualità”.

 

Il lettore potrà chiedersi che cosa c’entri la condizione della donna nell’islam con il terrorismo, il Belgio, l’Isis, Raqqa, la Libia, la guerra al terrore. C’entra eccome perché la violenza praticata sul corpo di una donna e la violenza praticata sul corpo di un miscredente fanno parte dell’interpretazione di una stessa religione. Il nemico non è il terrorismo ma l’idea di cui il terrorismo è il prodotto. Non si chiama follia, si chiama sharia. Forza Inspire, forza Sara Khan.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.