Jean-Claude Juncker durante il summit dei leader Ue a Bruxelles (foto LaPresse)

Offerta di Juncker a Renzi: flessibilità subito, austerità nel 2017

David Carretta
Con il Country Report sull’Italia si fa moral suasion. Ma il Def di Padoan del prossimo anno deve essere rigoroso.

Bruxelles. Nei palazzi della Commissione europea tutti i corridoi portano al ritorno all’austerità per Roma nel 2017. “Ci aspettiamo che l’Italia si faccia avanti con proposte su come affrontare i suoi squilibri”, ha detto ieri il vicepresidente della Commissione responsabile per l’euro, Valdis Dombrovskis, riassumendo la discussione di orientamento del collegio presieduto da Jean-Claude Juncker sulla procedura per squilibri macroeconomici eccessivi, che apre il semestre di bilancio europeo. I “Country report” con le analisi approfondite sui 18 paesi per i quali l’esecutivo comunitario ha individuato possibili squilibri – si va dal debito pubblico per l’Italia all’avanzo delle partite correnti per la Germania – saranno pubblicati domani, quando il presidente della Commissione incontrerà Matteo Renzi per cercare di rasserenare il clima dopo gli ultimi due mesi tempestosi nelle relazioni tra Roma e Bruxelles. L’Italia attende da Juncker chiarezza sulla flessibilità di bilancio per quest’anno, visto che il giudizio definitivo sulla legge di Stabilità è previsto per la primavera. Tuttavia è sul Documento di economia e finanza (Def) che si gioca la partita più importante. Il grande scambio che viene evocato nei corridoi della Commissione si può sintetizzare così: via libera a tutta la flessibilità che chiede Renzi per il 2016, ma a condizione che nel 2017 l’Italia realizzi un aggiustamento strutturale del deficit di almeno lo 0,5 per cento. “La flessibilità sarà data quest’anno soltanto se da quello successivo l’Italia ricomincia a fare l’aggiustamento richiesto”, dice al Foglio un funzionario comunitario.

 

A leggere il Country Report sull’Italia – anticipato dalla Stampa – il debito pubblico rimane l’emergenza numero uno. Non solo resterà “molto elevato nei prossimi anni”, ma la sua “riduzione è soggetta a possibili choc, soprattutto a un’ulteriore riduzione dell’avanzo primario”. Il che significa che l’Italia rimarrà vulnerabile nel medio periodo, tanto più se i tassi di interesse dovessero superare significativamente quelli della crescita reale. Per la Commissione, il debito costituisce anche un freno alla crescita e limita lo spazio fiscale del governo, sia per gli investimenti pubblici sia per affrontare nuove emergenze. “E’ importante” che i singoli paesi “affrontino l’alto livello di debito pubblico”, ha ricordato ieri Dombrovskis. I timori della Commissione sono rafforzati dalla situazione del sistema bancario, con il nesso tra banche e debito sovrano lungi dall’essere rotto. Con quasi 500 miliardi di titoli italiani nei bilanci, gli istituti di credito sono vulnerabili a bruschi cambiamenti della percezione del rischio sovrano del paese. Allo stesso tempo, in caso di grandi salvataggi bancari, il governo si troverebbe con un problema di sostenibilità del debito.

 

Il resto del Country Report è un lungo elenco di giudizi sulle cose fatte, fatte a metà o non fatte dal governo, sulla base delle raccomandazioni specifiche indirizzate dalla Commissione all’Italia lo scorso anno. Complessivamente le riforme vanno nella buona direzione. Le misure più efficaci sono state il Jobs Act, la nuova governance delle banche popolari, la scuola e le riforme di costituzione e legge elettorale. Ci sono ritardi o incertezze sulla pubblica amministrazione, il completamento dell’Agenzia territoriale di coesione e la giustizia civile. E’ sul fronte fiscale – e non è un caso – che le critiche sono più dure: il governo non si è mosso, o non abbastanza, sulla spending review (con gli obiettivi rivisti costantemente al ribasso), la revisione delle deduzioni e detrazioni (troppe volte rinviata per un tesorone che vale più di 200 miliardi) e la riforma dei valori catastali (altra promessa mai mantenuta). L’abolizione della Tasi è stata presa da Bruxelles come una provocazione, perché contraddice la raccomandazione della Commissione di spostare la tassazione dai fattori produttivi verso proprietà e consumi.

 

[**Video_box_2**]Nel difficile esercizio di equilibrismo politico che Juncker persegue per evitare una rottura con Renzi, il messaggio complessivo del Country Report dovrebbe restare ambiguo: l’Italia rimane sotto monitoraggio, ma ci sono alcuni progressi e l’8 marzo non dovrebbe essere attivata la procedura per squilibri macroeconomici eccessivi che prevede strette raccomandazioni di “policy”. E’ un modo per mantenere la pressione sul fronte fiscale in vista della scadenza di aprile, quando Pier Carlo Padoan dovrà inviare il Def a Bruxelles. I numeri di quest’anno sono già in bilico: anche con tutta la flessibilità richiesta, nel 2016 l’Italia è al limite dello scostamento significativo che potrebbe far scattare una procedura per deficit eccessivo. Sui numeri del 2017 la Commissione non intende – per il momento – fare concessioni: almeno sullo 0,5 per cento di miglioramento del saldo netto strutturale. “Meno si fa un anno, più si deve fare gli anni successivi”, riassume una fonte comunitaria, che spiega al Foglio i paletti della flessibilità: la clausola per le riforme può essere ottenuta una sola volta prima del raggiungimento del pareggio di bilancio; quella per gli investimenti non potrà più essere invocata perché l’output gap scende sotto la soglia di meno 1,5. “Non ci sono più le condizioni” per ottenere la flessibilità il prossimo anno, dice la fonte. O così almeno ragionano i tecnici. Poi c’è la politica, che anche nei palazzi della Commissione è consapevole del fatto che Renzi ha in mano l’arma delle elezioni ed è l’unico leader europeista che gli italiani sono pronti a eleggere.

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