La locandina di “Made in France” di Nicolas Boukhrief

Buio in sala

Giulio Meotti
In un anno, la Francia ha oscurato ben quattro film sull’islam. Censurate anche le locandine. Si ripete un film già visto. Dopo l’assassinio del regista olandese Theo van Gogh, il suo film “Submission” scomparve da cinema e concorsi.

Roma. Dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi, lo slogan della classe dirigente francese è stato: “I terroristi non cambieranno il nostro stile di vita”. Sale da concerti come il Bataclan, stadi, cinema e ristoranti sono assurti a simboli edificanti di una resistenza civile al terrorismo. Soltanto che in un anno, dalla strage di Charlie Hebdo, la Francia ha “deprogrammato” ben quattro pellicole sull’islam. Ha giustamente chiesto ieri il Figaro in un editoriale: “Non si devono mostrare i crimini islamisti?”. Nei giorni scorsi un terzo dei membri della Commissione dei lavori del Centro nazionale del cinema, chiamato a esprimersi su una pellicola, ha votato per la messa al bando totale, nelle sale e in tv, di quei film che osano mostrare i jihadisti. La maggioranza ha ripiegato sulla visione vietata ai minori. Di fatto, la morte di un film. Il poster delle pellicola di Nicolas Boukhrief “Made in France”, con un kalashnikov sovrapposto alla Torre Eiffel, era già nei corridoi della metropolitana di Parigi quando l’Isis è entrato in azione la notte del 13 novembre. L’uscita del film è stata immediatamente sospesa, con la promessa che la pellicola sarebbe tornata nelle sale a gennaio. Ora arriva la notizia che “Made in France” sarà disponibile soltanto sulle piattaforme on demand. Il sito Allociné fa sapere che “nessun cinema a Parigi proietta questo film”. E il manifesto che accompagna la nuova uscita digitale non ha più il kalashnikov e la frase premonitrice: “La minaccia viene da dentro”. Duro il commento del regista: “E’ umano cercare di proteggere dopo il Bataclan. Io non giudico, ma questa paura irrazionale che prende tutti è quello che i terroristi stanno cercando”, ha detto Nicolas Boukhrief in un’intervista con Télérama.

 

Nelle stesse ore in cui “Made in France” veniva relegato all’on demand, il film “Salafistes” di Français François Margolin e del giornalista mauritano Lemine Ould Salem veniva proiettato con il divieto, voluto dal governo di Manuel Valls, per i minorenni (il ministero dell’Interno ne aveva chiesto la totale deprogrammazione). “Salafistes” è stato tra i film proiettati la scorsa settimana al festival Fipa di Biarritz nel sud ovest della Francia. Poco prima della proiezione, il Centro Nazionale di Cinematografia, che giudica i film, ha contattato il festival per dire che il documentario “degrada la dignità umana” perché mostra le immagini di un poliziotto ucciso negli attacchi al giornale satirico Charlie Hebdo. In risposta, il festival ha limitato la proiezione ai critici cinematografici e ai giornalisti.

 

Il regista Margolin ha accusato il governo Valls di volere la “morte commerciale” del suo film. Numerosi sindaci francesi, da Nantes a Villiers-sur-Marne, hanno vietato la proiezione del film “Timbuktu” sui gruppi islamici che si erano impadroniti della città africana, imponendo un regno di morte e di sharia. “Siamo tutti Charlie, ma non siamo tutti l’Apostolo”, commentava il settimanale Causeur. Il riferimento è a “L’Apotre”, il film della regista Cheyenne Carron deprogrammato dai cinema “per prevenire il rischio di attacchi” su richiesta della Direction générale de la sécurité intérieure. Perché il film racconta la conversione di un giovane musulmano francese al cattolicesimo.

 

[**Video_box_2**]La Francia ripete un film già visto. Dopo l’assassinio del regista olandese Theo van Gogh, il suo film “Submission”, che gli costò la vita, scomparve dalla televisione pubblica nei Paesi Bassi e dai festival del cinema. All’International Film Festival di Rotterdam, la più importante manifestazione cinematografica olandese, la retrospettiva su Theo van Gogh con “Submission” fu subito cancellata. Lo stesso fece il Festival del cinema di Locarno, diretto da Irene Bignardi, che disse: “Amiamo tutti la libertà di espressione, ma quando una proiezione può mettere a repentaglio la sicurezza di chi l’ha prodotto e del pubblico, allora io credo che questa sia una priorità da rispettare”. E’ diventato questo il riflesso incondizionato delle nostre élite e dell’industria dell’intrattenimento: per ammansire il nemico si devono celare le prove dei suoi crimini. I bravi parigini devono continuare a riversarsi nei ristoranti e nei teatri per dimostrare che il terrore non vincerà. Ma i loro occhi vanno protetti dalle immagini delle carneficine che li attendono.

Di più su questi argomenti:
  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.