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L'Italia e quel baricentro energetico europeo da trovare in Africa

Leonardo Bellodi
Bruxelles ha una linea antirussa, Berlino vuole raddoppiare il Nord Stream, Renzi si muova sul Mediterraneo. Gli stati membri e la stessa Commissione europea hanno posizioni ben diverse e non esitano a dichiararlo. Una contraddizione che ci può costare molto cara sia in termini economici sia in termini di sicurezza nazionale.

Roma. Speaking with one voice. Parlare con una sola voce. E’ il leit motiv dell’Europa quando ci si riferisce ai temi energetici. Assomiglia molto a quanto succedeva ai tempi del proibizionismo degli anni Cinquanta negli Stati Uniti. Nessuno credeva veramente che qualcuno potesse bere un bicchiere dopo cena. A ben guardare, poi, il messaggio dovrebbe essere diverso per essere più efficace: trasmettere con molte voci la stessa idea. Non succede né uno né l’altro. Gli stati membri e la stessa Commissione europea hanno posizioni ben diverse e non esitano a dichiararlo. Una contraddizione che ci può costare molto cara sia in termini economici sia in termini di sicurezza nazionale. Perché – come hanno capito molto bene grandi potenze come gli Stati Uniti e la Cina, organizzazioni internazionali come la Nato e gli apparati di intelligence di mezzo mondo – l’energia per chi la vende, per chi la compra e per chi la trasporta è un tema che ha molto a che fare con l’essenza stessa dello stato, ed è condizione necessaria per esercitare la sovranità. Perfino l’Isis pare aver compreso bene la lezione.

 

A Bruxelles vi sono una serie di stati, quelli che erano parte dell’Unione sovietica e della sua orbita, che del gas russo non vogliono sentire parlare. Sono bravi a mettere al primo posto dell’agenda europea una politica energetica antirussa o quasi. Ma trascurano due problemi. Il primo è che sono ancora quasi totalmente dipendenti da Mosca in termini di approvvigionamento energetico. Il secondo è che sono molto più focalizzati nell’affermare da dove non si deve prendere il gas piuttosto che nel definire progetti concreti e percorribili nel medio tempo che facciano arrivare all’Europa il gas di cui ha bisogno. Perché una cosa è chiara: per riuscire a rispettare gli ambiziosi – ma sacrosanti – vincoli ambientali, l’Europa, in assenza di una politica nucleare, non può che contare su un maggiore consumo di gas che è il combustile più pulito di cui disponiamo (insieme con programmi di efficienza energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabile). La crisi internazionale dopo l’intervento della Russia in Crimea e l’adozione di sanzioni internazionali nei confronti di persone e società vicine al presidente Vladimir Putin hanno dato forza alle voci antirusse. Voci che già si erano espresse con un certo vigore contro il progetto South Stream, che vedeva i russi e alcune società energetiche europee alleate nel costruire un grande gasdotto che portasse il gas russo in Europa, approdando in Austria e forse in Italia da sud, bypassando l’Ucraina. Ragioni politiche, regolatorie e legali avanzate da Bruxelles hanno convinto Putin a desistere. Il progetto, con un tratto di penna, è stato cancellato dall’oggi al domani. E fino a qui una certa coerenza a Bruxelles la si trova (ancorché sia tutto da dimostrare la sua saggezza e lungimirante). Peccato però che mentre tutto questo succedeva nella capitale europea, a Berlino si agiva in modo diverso.

 

 

La pax energetica si sigla sul continente

 

In Germania arriva il gas russo attraverso il Nord Stream, che dalla Siberia attraversa il Mar baltico evitando il territorio ucraino. Berlino ha in mente di raddoppiare questo gasdotto facendo sì che la Germania sia un pivot fondamentale nello scacchiere energetico europeo. Oltre a essere assai poco coerente con il famoso detto speaking with one voice, la politica di Berlino crea qualche problema all’Italia. Il premier Matteo Renzi conosce l’importanza delle relazioni del nostro paese con il continente africano, e non a caso da ieri sta svolgendo la sua terza visita in Africa sub-sahariana sin dal suo insediamento a Palazzo Chigi. Ieri Renzi è stato in Nigeria – tra i maggiori esportatori di petrolio del mondo – oggi sarà in Ghana e domani in Senegal. Ma è soprattutto curando i rapporti con i paesi che si affacciano sul Mediterraneo che l’Italia può aspirare a diventare un hub del gas europeo.

 

[**Video_box_2**]L’Europa importa dai paesi della sponda sud-ovest del Mediterraneo (Algeria e Libia) parecchio gas attraverso gasdotti, in parte carichi di gas naturale liquefatto. Sia l’Algeria sia la Libia hanno un disperato bisogno di vendere il loro gas nei mercati internazionali per far fronte a fabbisogni statali sempre più importanti. La Libia sappiamo quali pene stia attraversando e l’Algeria deve confrontarsi con consumi interni crescenti non accompagnati da grandi scoperte di nuovi giacimenti. A sud-est le cose non sono meno complicate. Un fornitore di gas storico nella regione è sempre stato l’Egitto, che però negli ultimi tempi ha visto la produzione interna scendere pericolosamente, tanto che non riusciva più neanche a far fronte ai consumi domestici. Nel frattempo un grande giacimento di gas è stato scoperto al largo di Israele. Lo sfruttamento del giacimento ha subìto notevoli ritardi a causa di litigi politici ed economici interni, ma l’idea era quella utilizzare il gasdotto – che un tempo serviva a portare il gas egiziano in Israele – al contrario. Sarebbe stato Israele a rifornire l’Egitto. Chi ha tempo non aspetti tempo però. Mentre a Gerusalemme si litigava su chi doveva sfruttare i giacimenti, al largo dell’Egitto veniva scoperto un altro immenso giacimento di gas che può non solo far fronte a tutti i consumi domestici del paese ma anche far riprendere all’Egitto il proprio ruolo di paese esportatore.

 

Il Mediterraneo dunque si è rivelato una fonte incredibile di idrocarburi. Vi è gas sufficiente per far fronte ai crescenti consumi interni dei paesi che vi si affacciano, porterebbe loro valuta pregiata grazie alle vendite sui mercati internazionali, contribuirebbe alla sicurezza energetica europea e, non da ultimo, farebbe dell’Italia un importante hub nella direttrice sud nord. Perché ciò avvenga occorrono ovviamente nuove infrastrutture e una politica energetica europea che consideri questa regione prioritaria ai fini della sicurezza energetica europea e della sicurezza nazionale per i paesi produttori e per i paesi europei.

 

Dall’altra parte però Berlino sta perseguendo una propria strategia. Che non è sbagliata, dal momento che del gas russo non potremmo certo fare a meno nel medio periodo, ma che non può e non deve essere portata avanti in modo unilaterale. L’impressione è che vi sia bisogno di una pax energetica all’interno dell’Europa, piuttosto che con i paesi produttori, che il gas ce l’hanno sempre fornito malgrado le difficoltà interne.

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