Il mercato aiuta i migranti a casa loro

Redazione
In Italia consumiamo circa 600mila tonnellate di olio d’oliva all’anno. E’ meno del passato, ma restiamo con la Spagna il paese con il più alto consumo pro capite.

In Italia consumiamo circa 600mila tonnellate di olio d’oliva all’anno. E’ meno del passato, ma restiamo con la Spagna il paese con il più alto consumo pro capite. La nostra produzione è oscillata negli ultimi anni tra le 250mila e le 350mila tonnellate annue e una parte consistente di quel che produciamo lo esportiamo (a prezzi giustamente remunerativi) nei mercati europei, americani o asiatici. L’aritmetica è semplice: abbiamo bisogno per il nostro consumo nazionale di comprare olio d’oliva straniero. Perché non ne produciamo di più? In effetti, l’Italia avrebbe bisogno di modernizzare la sua olivicoltura: si fa poca sperimentazione, le aziende rinunciano agli agronomi, gli ulivi peggiorano in salute e produttività. Di questo però, nelle cronache politiche, non si parla. Tiene invece banco il tema della supposta “invasione” dell’olio d’oliva dalla Tunisia.

 

Da Salvini a Grillo, passando anche per ambienti Pd e di maggioranza, tanti si strappano le vesti contro la decisione del governo italiano di avallare la proposta della Commissione europea di elevare da 56.700 a 91.700 tonnellate la quota di olio d’oliva tunisino che può entrare nella Ue senza dazi doganali. Etichettare e tracciare tutto è d’obbligo, ma per il consumatore a basso reddito è meglio poter comprare al supermercato l’olio tunisino senza dazi, anziché lo stesso olio gravato dal peso doganale. E poi, smettiamola di essere miopi: la misura europea ha ragioni anche politiche. La Tunisia è un fattore di stabilità per il Maghreb, assorbe oggi circa un milione di profughi libici e ha un governo con cui possiamo collaborare sul fronte della sicurezza internazionale. “Aiutarli a casa loro” vuol dire anche questo, no?