Il passo indietro del totalitarismo cinese

Redazione
C’è un aspetto ideologico nell’abbandono della legge sul figlio unico

Nella decisione di Pechino di abbandonare la legge che dal 1979 obbliga i cinesi ad avere un unico figlio per coppia c’è un aspetto economico-demografico: il fallimento delle politiche di controllo delle nascite che non solo in Cina ma anche in Corea del sud, per esempio, hanno avuto come risultato un inesorabile invecchiamento precoce della popolazione senza un sufficiente ricambio generazionale, una specie di  inarrestabile eutanasia demografica. Però c’è anche un altro aspetto, nella storica riforma cinese, che riguarda più il sistema di controllo totalitario di Pechino e le libertà personali. La pretesa di uno stato che dice ai suoi cittadini perfino quanti figli possono avere non è ancora crollata in maniera definitiva, ma la decisione rappresenta almeno un passo indietro, l’ammorbidimento di una legge che era diventata il simbolo dell’intrusione dello stato nella vita dei cittadini.

 

Per ora il Partito comunista cinese ha annunciato che passerà dall’obbligo di avere un solo figlio a quello di avere “non più di due figli”. E’ per questo che ieri la Cnn, in un editoriale di Frida Ghitis, ammoniva: “Questo non è il segnale che il Partito, improvvisamente, inizia a rispettare le libertà personali più che in passato, ma significa che il Partito sta adeguando la politica alla situazione attuale. […] L’innalzamento del limite a due figli per coppia conserva il ruolo intrusivo dello stato”. E probabilmente il cambiamento farà poca differenza, ma è l’ennesima prova che il totalitarismo cinese, alla prova della contemporaneità, ancora una volta piegato al mercato e al capitalismo, è costretto a dei passi indietro epocali.

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