Xi Jinping e Vladimir Putin (foto LaPresse)

Prima o poi la Cina sarà coinvolta contro il terrorismo. E starà con la Russia

Giulia Pompili
Sfere asiatiche. Pechino si avvicina a Putin. Insieme giocano a mettere il Giappone nell’angolo

Roma. Nel marzo del 2014 il presidente cinese Xi Jinping si trovava in visita di stato in Germania. La cancelliera Angela Merkel gli donò una cartina geografica, una mappa della Cina disegnata nel 1735 dal cartografo francese Jean-Baptiste Bourguignon d’Anville sulla base dei resoconti dei missionari gesuiti nell’area. Ma sui media cinesi che si occupavano della visita di Xi in Europa l’immagine del regalo di Merkel fu sostituita da un’altra mappa, quella del cartografo John Nicaragua Dower, datata 1844, e che comprendeva tra i territori cinesi anche il Tibet, lo Xinjiang, la Mongolia, la Manciuria, la Corea. Secondo il professore Akio Takahara dell’Università di Tokyo – uno dei massimi esperti di politica cinese e di relazioni internazionali, membro del think tank Japan Institute of International Affairs – l’episodio della mappa di Xi, di cui si parlò molto all’epoca, è fondamentale per capire quanto, in Asia, le questioni territoriali siano ancora la base su cui si trattano alleanze e giochi di potere.

 

Da cinque anni a questa parte non stanno cambiando soltanto le mappe territoriali asiatiche – specie nel mar Cinese meridionale, dove la Cina continua a costruire piattaforme e isole artificiali in acque contese. Anche la mappa delle alleanze è ormai totalmente in divenire. “La Cina sta costruendo un legame sempre più stretto con la Russia”, dice Takahara al Foglio, “è un legame fragile, di convenienze. Mosca in questo momento ha bisogno di Pechino, e la Cina sta sfruttando la sua alleanza con la Russia soprattutto in chiave antiamericana. Ma entrambi i paesi sanno che non ci si può fidare l’uno dell’altro”. Xi Jinping è in un momento complicato della sua presidenza: la situazione dei mercati è ancora instabile, e ieri ha iniziato la sua prima visita di stato in America.

 

“La Cina persegue una politica estera indipendente e di pace ed è impegnata nella pace mondiale e nello sviluppo comune. Nel mondo di oggi, è impossibile per la Cina crescere da sola; solo quando il mondo prospererà la Cina potrà prosperare. La Cina non è mai stata assente negli sforzi per promuovere la ripresa economica mondiale, nel cercare soluzioni politiche alle questioni internazionali e regionali e nel rispondere ai vari problemi e alle sfide globali. Questo è ciò che la comunità internazionale si aspetta della Cina, e farlo è una responsabilità della Cina”. In un’intervista al Wall Street Journal ieri, Xi è stato particolarmente diplomatico, ma ha ammesso, parlando del suo paese e degli Stati Uniti, che “ci sono delle differenze nei nostri rispettivi pensieri e nell’approccio ad alcune questioni. Tuttavia le differenze sono il motivo per cui dovremmo completarci a vicenda e trovare le migliori soluzioni ai problemi”. Secondo il prof. Takahara, è per questi motivi che, prima o poi, la Cina sarà coinvolta in una coalizione contro il terrorismo: “Del resto Pechino affronta il problema già da tempo, con i fondamentalisti islamici dello Xinjiang”, dove la religione si fonde con l’indipendentismo, e nei rapporti con i paesi confinanti più complicati, il Pakistan e l’Afghanistan in primis. Ma di  nuovo ecco la geografia, e gli interessi di stato.

 

[**Video_box_2**]Dal 2010 in poi, quando il nazionalismo cinese ha ricominciato a crescere e il “chinese dream”, formalizzato dal libro sulla middle class cinese di Helen H. Wang, ha avuto nuova linfa vitale, i rapporti tra Pechino e il principale alleato di Washington in Asia, il Giappone, hanno ricominciato a deteriorarsi. E nel 2013, quando la crisi in Siria ha iniziato a farsi sempre più grave, nessuno riusciva a capire esattamente perché – nonostante anni di neutralismo propugnato dalla Cina – nei consessi internazionali Pechino appoggiasse la Russia di Vladimir Putin e la sua contrarietà a una risoluzione internazionale contro Damasco. Le alleanze si stavano consolidando. Per questo non c’è da stupirsi se ieri il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, durante un incontro ufficiale a Mosca con l’omologo giapponese Fumio Kishida, abbia detto chiaramente che i territori del nord del Giappone, quelli sequestrati dai sovietici dopo la Seconda guerra mondiale, sono parte integrante dell’arcipelago delle isole Curili, quindi territorio russo. Il Giappone – che sabato scorso ha approvato il pacchetto di leggi sulla sicurezza fortemente voluto dal partito di governo di Shinzo Abe – dopo settant’anni di pacifismo previsto dalla Costituzione del 1945 ora potrà mandare i suoi soldati a combattere all’estero. Una mossa che, secondo il punto di vista di Tokyo, serve a rafforzare l’alleanza tra America e Giappone. Perfino la Corea del sud, che ospita basi militari americane sul suo territorio fin dentro la capitale Seul, è ormai stretta nella morsa di influenza di Russia e Cina.

 

Se Pechino dovrà essere coinvolta in un conflitto internazionale, nonostante le photo opportunity a Washington, sappiamo chi dovrà chiedergli aiuto. Putin, probabilmente, ha già pronta la merce di scambio.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.