Il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente russo Vladimir Putin lunedì nella residenza di Novo-Ogaryovo presso Mosca (foto LaPresse)

Una visita non di routine

Netanyahu faccia a faccia con Putin “per non spararsi” in Siria

Daniele Raineri
Israele non vuole rinunciare ai raid aerei contro Hezbollah (e contro i soldati iraniani). Il russo: “Saremo responsabili”

Roma. Ieri il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, è volato a Mosca per incontrare il presidente russo Vladimir Putin nella residenza di stato di Novo-Ogaryovo, poco fuori dalla capitale russa. La visita non era in programma ed è stata annunciata soltanto cinque giorni fa come risposta alla spedizione militare russa in Siria – in soccorso del presidente Bashar el Assad. Netanyahu ha detto di essere andato in Russia “per evitare la possibilità di combattimenti accidentali tra gli israeliani e i russi in medio oriente”. Il sito Times of Israel nota che il premier israeliano si è fatto accompagnare dal capo delle Forze armate, il generale Gadi Eisenkot, e dal generale Herzl “Hertzi” Halevi, capo dell’intelligence militare (Aman), e che questa formazione davvero inusuale per una visita di stato era già un messaggio a Putin – come anche la fretta del viaggio. Israele teme che la presenza russa in Siria complicherà la strategia di contenimento contro il gruppo armato Hezbollah e contro l’Iran – due entità pronte a sfruttare la Siria come base operativa, soprattutto ora che c’è l’ombrello protettivo dell’aviazione russa.

 

“Sono qui perché la situazione sta diventando sempre più complicata al nostro confine nord”, ha detto Netanyahu a Putin, “e voglio prevenire la confusione tra le tue forze e le nostre forze in quella regione”. Sulla sua pagina Facebook Netanyahu spiega di avere detto a Putin che Israele ha una linea strategica che prevede il bombardamento delle minacce sospette che appaiono sulle alture del Golan siriano e anche che “la nostra politica è fare qualsiasi cosa per impedire a Hezbollah di ricevere armamenti”.

 

Un timore di Netanyahu e delle sue Forze armate è che a partire da adesso i voli russi impediscano quei voli di ricognizione sopra il Libano e sopra la Siria che Israele effettua con regolarità per controllare i movimenti dei suoi nemici. Come rivelò il giornalista dell’Atlantic Jeffrey Goldberg nel 2012, droni israeliani sorvolano di continuo la Siria e ieri, secondo il Pentagono, le attività russe nel paese arabo sono cominciate proprio con  i primi voli di droni, anche se non è stato specificato dove. Un altro timore di Gerusalemme è che la presenza di russi aggiunge un ostacolo ai raid che gli aerei israeliani ogni tanto compiono sulla Siria  per intercettare e distruggere i trasferimenti di armi sofisticate verso il Libano, dove Hezbollah custodisce i suoi arsenali in attesa – secondo la maggioranza degli osservatori – di un secondo tempo della guerra con Israele cominciata e interrotta nell’estate 2006.

 

In questi anni Israele ha ammesso di avere colpito obiettivi dentro la Siria e il mese scorso ha reagito ad alcuni colpi di mortaio sul Golan con il bombardamento più massiccio dal 1973. Si pensa che le operazioni clandestine (quindi che non sono state dichiarate e non lo saranno mai) siano molte di più. Cosa succederebbe se in futuro i jet israeliani bombardassero un’installazione siriana e uccidessero per errore dei soldati russi? Non è un’ipotesi di scuola. Secondo notizie non ancora confermate in via ufficiale – nemmeno la spedizione ordinata da Mosca era ufficiale, due settimane fa – centinaia di truppe speciali iraniane si stanno coordinando con i soldati russi e con Hezbollah a Latakia.

 

Un terzo timore è che le armi “top della gamma” che i russi porteranno in Siria per combattere i nemici del presidente Assad finiranno nelle mani di Hezbollah. Secondo Nadav Pollak, del Washington Institute for Near East Policy, è già successo in passato che quantità di armi russe destinate alla Siria siano apparse nelle mani del gruppo libanese – che in questi anni sta aiutando Assad provvedendo un indispensabile rinforzo di uomini ben addestrati. Nella guerra tra Israele e Hezbollah dell’estate 2006 già citata, cinque carri armati israeliani Merkava furono distrutti nella zona di confine da missili anticarro Kornet di fabbricazione russa. Il capo dell’intelligence militare volato a Mosca assieme a Netanyahu, sostiene Pollak, ha il compito di spiegare ai suoi omologhi di Mosca come le armi russe passano al gruppo armato libanese.

 

[**Video_box_2**]Putin ha detto a Netanyahu che la Russia in Siria si comporterà “in modo responsabile”, che la presenza di molti russi in Israele  (tornati dalla diaspora) è un motivo in più per esercitare cautela e che “il governo siriano è troppo occupato altrove per aprire un secondo fronte di guerra, sul Golan”. Il consigliere per la Sicurezza nazionale di Netanyahu, Yossi Cohen, ieri ha detto al giornale Israel Hayom che Israele non cede sulla questione Hezbollah e che non accetterà restrizioni sulla sua capacità di risposta dentro il territorio siriano. Un ex consigliere di Netanyahu che preferisce restare anonimo dice a Reuters che Israele teme che si crei un asse tra i suoi nemici di sempre, Iran e Hezbollah, e Mosca (ieri, il viceministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, era anche lui in visita a Mosca per parlare con Mikhail Bogdanov, viceministro russo e massimo esperto di Siria).  Sull’incontro con Putin di ieri la fonte israeliana di Reuters dice che l’accordo potrebbe essere molto prosaico e terra terra, per esempio “Israele e la Russia potrebbero mettersi d’accordo e spartirsi le zone d’operazione in Siria o anche dirsi: voi volate di giorno e noi voliamo di notte”.

 

Dieci giorni fa il sito Intelligence online, vicino ai servizi francesi (come Debka è vicino a quelli israeliani ma si spera più credibile, perché si fa pagare) ha scritto che l’intelligence militare israeliana crede che la forza militare di Damasco è ormai esausta. L’intelligence israeliana si riferisce al regime di Assad come a “Little Syria” perché controlla ormai un territorio esiguo,  perché ha usato il 93 per cento delle sue riserve di missili e perché “non ha una chance di riprendere il territorio perduto”.

 

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)