I guai di Facebook in Russia
I governanti di mezzo mondo detestano il cloud. La nuvola in cui la Silicon Valley custodisce i dati personali dei suoi utenti è reale e immateriale al tempo stesso, i dati sono sparsi su server in giro per il mondo e continuamente trasferiti da un posto all’altro. Sono inafferrabili, difficili da controllare senza le chiavi giuste, e questo non piace ad alcuni governi, che per esigenze di sicurezza o paranoia autoritaria vogliono che i dati che galleggiano nella nuvola abbiano una posizione fisica, definibile, e possibilmente sotto il loro controllo. Succede così in Russia, dove una norma approvata dal Parlamento l’anno scorso prevede che dal primo di settembre tutte le compagnie di internet che operano nel paese conservino i dati personali dei cittadini russi in loco. Questo significa, per esempio, che le compagnie della Silicon Valley come Google e Facebook devono spostare i loro server in Russia se vogliono continuare a operare nel paese ed evitare ripercussioni gravi.
La norma ha conseguenze notevoli. Anzitutto economiche, perché il trasferimento dei server, o l’affitto di spazio nei datacenter già esistenti, rischia di comportare dei costi elevati. Poi c’è il versante politico, il più delicato, perché se un paese conserva nel proprio territorio tutti i dati dei suoi cittadini diventa più facile per il governo prenderne il controllo. Dissidenti, oppositori e semplici cittadini che finora hanno fatto affidamento sull’immaterialità del cloud temono che dal primo di settembre i loro dati siano a disposizione del governo russo, che decisamente gode di un cattivo record di rispetto dei diritti umani. Conoscendo la locazione fisica dei server un governo può fare più facilmente operazioni di hacking, o semplicemente mandare una squadra di polizia ai datacenter.
Finora tutte la grandi compagnie di internet hanno accettato di trasferire i dati degli utenti russi; Google si sta attrezzando da mesi, eBay e Samsung hanno già acconsentito al trasferimento. Secondo il giornale russo Vedomosti, però, c’è un’eccezione potenzialmente enorme alla schiera di chi si è adeguato: Facebook. Vedomosti, ripreso da altri media in lingua inglese, tra cui il filogovernativo Sputnik, sostiene che il social network guidato da Mark Zuckerberg non intenda obbedire alla legge russa e conservare i dati in loco. Il giornale riporta le dichiarazioni di Thomas Myrup Kristensen, responsabile di Facebook per i paesi nordici e l’Europa centrale e dell’est, secondo cui i dati usati sul social network non sono “personali”. Le spese del trasferimento, inoltre, sarebbero eccessive. Se le indiscrezioni di Vedomosti fossero corrette, per Facebook si aprirebbe in Russia una guerra tale da fare impallidire i guai di Google nell’Unione europea. Il governo di Mosca ha già mostrato, con il blocco momentaneo di Wikipedia la settimana scorsa, di saper usare durezza su internet. Il caso controverso del fondatore di VKontakte, clone russo di Facebook, cacciato l’anno scorso dalla sua azienda perché, a detta sua, critico con il governo, dà prova ulteriore del pugno di ferro di Mosca.
[**Video_box_2**]Non si sa a quali ripercussioni Facebook possa andare incontro se dovesse disobbedire alla legge. Un rappresentante dell’azienda, sentito da Business Insider, ha detto che i contatti con i rappresentanti del governo russo avvengono “regolarmente”.
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