Xi Jinping e Vladimir Putin (foto LaPresse)

Contenere Pechino, recuperare Mosca

Gianni Castellaneta
Il vertice dei capi di Stato e di governo dei Paesi inclusi nel Partenariato orientale, e il forum economico di San Pietroburgo tra un mese segnano un tiepido ribilanciamento nei rapporti tra Occidente e Russia.

Il taccuino della feluca segnala un pur tiepido ribilanciamento nei rapporti tra Occidente e Russia. Il calendario ha infatti visto lo svolgimento lo scorso 21 e 22 maggio a Riga del quarto Vertice dei capi di Stato e di governo dei Paesi inclusi nel Partenariato orientale, e prevede il forum economico di San Pietroburgo tra un mese. La buona notizia è duplice: il vertice del Partenariato orientale non ha fatto registrare particolari acuti, mentre il forum economico si preannuncia nuovamente gettonato dal gotha dell’industria e della finanza di Europa e Stati Uniti.

 

I grandi sponsor del Partenariato Orientale, le russofobe Svezia e Polonia, hanno sempre sostenuto che per i sei Paesi non-Ue che fanno parte di questa iniziativa (Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Armenia, Georgia e Azerbaijan) questo vertice è l’occasione per riallacciare un dialogo che da più parti è stato messo in discussione e intavolare trattative economiche. Ma dal versante russo la cosa è stata vissuta come una pericolosa ingerenza europea nel vicinato prossimo di Mosca, e la stessa tragica crisi ucraina è scaturita da un ping pong commerciale tra Ue e Ucraina a valle di accordi propiziati dal Partenariato. Il vertice di Riga pare dunque chiudere una fase travagliatissima nei rapporti tra Russia e Ue, con la promessa tacita di quest’ultima di non compiere azzardi né fughe in avanti. Insomma, viene da dire, questa volta ha prevalso la Realpolitik. Prova ne è il felpatissimo comunicato conclusivo del vertice, senz’altro frutto di un sapiente lavoro di lima come si conviene in situazioni complesse.

 

A scandire il riavvicinamento ha senz’altro anche contribuito il segretario di Stato Usa, John Kerry, che il 13 maggio scorso è stato in missione a Sochi, sulla costa russa del Mar Nero, per incontrare il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov. Fino all’ultimo il Cremlino ha evitato di confermare la presenza del presidente Vladimir Putin, che tuttavia alla fine ha preso parte all’incontro, sorprendente per sua cordialità. Il barometro della diplomazia rileva che Washington pare per la prima volta sposare gli accordi di Minsk, raggiunti grazie all’impegno personale della Cancelliera tedesca, Angela Merkel. E’ un cambiamento che, se confermato, potrebbe portare ad una distensione delle relazioni con la Russia. Certo, per Kiev sarà difficile accettare l’autonomia del Donbass. Allo stesso modo Mosca faticherà a cedere il controllo della frontiera orientale dell’Ucraina. La strada da fare è quindi ancora lunga, ma per la prima volta dopo parecchi mesi sembra aprirsi uno spiraglio di opportunità. Ad aprirlo sono state le milizie dello Sato islamico, e non è detto che la paura che esse incutono in tutto il Medio Oriente ed oltre non possa favorire una ripresa d’iniziativa da parte della comunità internazionale.

 

Resta da vedere se il ribilanciamento dei rapporti tra Occidente e Russia si consoliderà rapidamente. E, soprattutto, se rallenterà l’abbraccio tra Mosca e Pechino, vero campanello d’allarme che da poco ha indotto anche il sancta sanctorum del pensiero geopolitico americano, il Council for Foreign Relations, a invocare con un lungo report un cambio di rotta rispetto all’embrassons-nous americano con Pechino. E il contenimento di Pechino passa anche dal recupero di Mosca.

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