Radio France torna a trasmettere dopo il "golpe" sindacale anti tagli

Luciano Capone
Dopo 28 giorni sono ricominciati i programmi di Radio France, l’emittente pubblica francese. Per circa un mese i radioascoltatori hanno ascoltato solo playlist musicali in loop, interrotte saltuariamente da qualche notiziario e dalle scuse per il disagio. Si è trattato del più lungo sciopero dell’azienda

Dopo 28 giorni sono ricominciati i programmi di Radio France, l’emittente pubblica francese. Per circa un mese i radioascoltatori francesi sintonizzati sulle onde pubbliche hanno ascoltato solo playlist musicali in loop, interrotte saltuariamente da qualche breve notiziario e dalle scuse per il disagio, “come dopo un golpe militare” ha scritto l’Economist. Nessun colpo di stato, si è trattato del più lungo sciopero della storia dell’azienda contro i tagli decisi dal management e supportato dal governo. Le proteste di giornalisti e operatori tecnici sono tutte contro la spending review decisa dal nuovo amministratore delegato di Radio France, il giovane Mathieu Gallet, che ha deciso di arginare il buco di bilancio dell’emittente statale con un piano considerato “lacrime e sangue” dai sindacati che ha l’obiettivo di far risparmiare 50 milioni di euro entro il 2019, attraverso la riduzione di 300-380 posti di lavoro sui circa 5 mila dipendenti, la fusione delle due orchestre sinfoniche (che da sole contano circa 390 dipendenti e costano oltre 28 milioni), la fusione di stazioni locali e redazioni.

 

Il piano di razionalizzazione dei costi, inserito in un contesto generale in cui il governo cerca di far quadrare i conti, è stato rifiutato con sdegno dai sindacati che hanno indetto uno sciopero ad oltranza, motivati anche dalle concomitanti rivelazioni sulle spese non proprio austere di Gallet: 100 mila euro per ristrutturare il proprio ufficio e 90 mila euro l’anno per un consulente d’immagine. Ma Gallet ha continuato nello scontro con le sigle sindacali e, nonostante le sue spese allegre e un passato da consulente del presidente Nicolas Sarkozy, ha ottenuto l’appoggio del governo socialista e del premier Manuel Valls che si è espresso nettamente contro lo sciopero prolungato. E non poteva essere altrimenti, perché al di là di Gallet è inevitabile una riforma che metta mano ai costi insostenibili, agli sprechi e alle inefficienze che la radio pubblica ha accumulato negli anni.

 
Sarà anche vero, come dicono i sindacati, che “l’obiettivo del servizio pubblico non è fare profitti”, ma forse dalle parti di Radio France si è un po’ esagerato: secondo il bilancio di previsione a fine anno il deficit sarà di 21 milioni di euro (ai quali andrà aggiunto il costo dello sciopero che è stato stimato in circa 4 milioni). Molti sprechi riguardano scelte manageriali, come i costi di ristrutturazione della Maison de la Radio (saliti a 575 milioni rispetto ai 262 inizialmente previsti), ma altri chiamano in causa i dipendenti, che godono di 14 settimane di ferie pagate l’anno (70 giorni, tra l’altro nel paese delle 35 ore di lavoro settimanali) e che circa nell’8 per cento dei casi sono pagati dall'azienda ma svolgono rappresentanza sindacale.

 
[**Video_box_2**]Dal 2004 al 2013 le spese sono salite del 27,5 per cento senza alcun aumento di audience e il personale è lievitato del 20 per cento. Dal 2000 in poi gli stipendi sono cresciuti del 14 per cento e il monte salari ora rappresenta il 60 per cento del budget complessivo, che peraltro è coperto solo per il 10 per cento da ricavi pubblicitari e al 90 per cento da sussidi statali, che costano circa 26 euro l’anno per ogni famiglia francese. Una somma comunque non sufficiente a coprire le spese per il servizio pubblico radiofonico.

 
Con la fine del lunghissimo sciopero, anche da parte della più radicale e riluttante CGT, i sindacati hanno deciso di sedersi al tavolo delle trattative con il mediatore nominato dal governo, ma lo fanno senza essere riusciti a ottenere passi indietro da Gallet dopo un mese di battaglia durissima. L’appuntamento con i tagli e le riforme questa volta non sembra rinviabile.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali