Sergio Marchionne (foto LaPresse)

La rottamazione in fabbrica

Redazione
Sergio Marchionne, ha annunciato alle organizzazioni sindacali quella che vorrebbe fosse la nuova politica retributiva del gruppo. L’obiettivo, sostiene il Lingotto, è “far partecipare direttamente” tutti i lavoratori “ai risultati di produttività, qualità e redditività” dal 2015 al 2018.

E’ tempo di rinnovo contrattuale per i lavoratori italiani della Fiat, dopo l’accordo-ponte trovato nell’estate del 2014. Così giovedì l’amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles (Fca), Sergio Marchionne, ha annunciato alle organizzazioni sindacali quella che vorrebbe fosse la nuova politica retributiva del gruppo. L’obiettivo, sostiene il Lingotto, è “far partecipare direttamente” tutti i lavoratori “ai risultati di produttività, qualità e redditività” dal 2015 al 2018. Addio al salario inteso come “variabile indipendente”, addio pure all’attenzione sfrenata riservata dalla concertazione nazionale ai minimi tabellari (vedi l’impostazione del Protocollo del 1993). Il nuovo sistema retributivo, nelle intenzioni di Fiat che adesso andrà al tavolo negoziale con i sindacati, prevede un bonus annuale calcolato in base all’efficienza dei singoli stabilimenti (ormai largamente misurabili grazie al sistema World class manufacturing); e un altro bonus legato ai risultati dei marchi nell’area euromediterranea.

 

Il gruppo automobilistico ha fatto qualche simulazione: se i risultati dei prossimi quattro anni saranno conformi agli obiettivi stilati, per un operaio specializzato si tratterà di un aumento di 1.400 euro annui dal 2015 al 2017 e poi di 2.800 euro nel 2018. Se nessun obiettivo sarà raggiunto, si cautelano in Fiat, l’aumento sarà di 330 euro l’anno. Dalla storica azienda manifatturiera italiana arriva così un’altra potenziale spallata al solitamente ingessato sistema delle relazioni industriali. In principio, dal 2010 al 2011, ci fu la decisione di Marchionne di proporre contratti aziendali negli stabilimenti italiani, fuori dagli schemi nazionali decisi da Confindustria e centrali sindacali. Apriti cielo: rappresentanti di industriali e lavoratori non apprezzarono; in fabbrica invece i nuovi contratti furono approvati via referendum. Adesso a quello schema teorico si offre un po’ di linfa: ogni euro in più che diventerà oggetto della contrattazione aziendale. Senza bisogno di attendere che ad accordarsi siano le corporazioni ufficiali o che a muoversi sia il solito legislatore. Altrimenti, le parti sociali, a cosa servono?

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