Il premier francese Valls durante una conferenza stampa sulle misure contro il terrorismo (foto LaPresse)

Nei servizi segreti francesi il primo problema è la “mancanza di cervello”

Mauro Zanon
Dopo Charlie Hebdo gli agenti francesi hanno messo sotto sorveglianza i genitori dei fratelli Kouachi, morti da più di vent’anni. Le polemiche contro la nuova legge sulla sicurezza

“La minaccia terroristica ha raggiunto i livelli più alti. Nessuno è al riparo, nessuna società è risparmiata”, ha dichiarato il premier Valls tre settimane fa, durante la presentazione della nuova legge sui servizi segreti francesi, che l’esecutivo conta di far passare d’urgenza all’Assemblea nazionale nella settimana tra il 13 e il 19 aprile. Tra le priorità fissate dal governo figura l’aumento del numero di effettivi delle sei agenzie d’intelligence nazionali, così come degli strumenti, informatici e non, che queste hanno a disposizione per sorvegliare in maniera capillare gli individui con “comportamenti sospetti” (molte associazioni, tra le quali Reporteurs sans frontières e Amnesty International, hanno denunciato il carattere invasivo della nuova riforma e soprattutto la pericolosa ambiguità della formula “comportamenti sospetti”, e hanno lanciato un boicottaggio sul sito “Sous-sourvellaince”) e di conseguenza contrastare più efficacemente la minaccia terroristica.

 

E’ vero che i servizi segreti francesi, e in particolar modo la Dgsi (Diréction générale de la sécurité intérieure, dipendente dal ministero dell’Interno), soffrono di una mancanza di uomini – secondo le cifre ottenute da Libération riguardanti la Dgsi, 1.500 islamisti radicali, di cui 600 via intercettazioni giudiziarie e 900 via intercettazioni amministrative, sono sorvegliati da appena 3.000 uomini – ma siamo sicuri che sia soltanto una questione di effettivi? È sufficiente un incremento del personale per parlare di riforma e di messa in efficienza dei servizi di spionaggio? Secondo una fonte interna de l’Unité de coordination de la lutte antiterroriste (Uclat) citata da Libé, il vero problema è la “mancanza di cervelli”. “In Francia la raccolta di informazioni è efficace, ma mancano i cervelli che possano metterle in prospettiva”, fa notare il graduato, prima di aggiungere: “Se non fossero stati così idioti (i fratelli Kouachi, autori della strage nella redazione di Charlie Hebdo, ndr) da abbandonare la loro carta di identità nella macchina, la Dgsi ci avrebbe messo un’eternità per rintracciarli. C’è un problema di priorità. I servizi segreti non devono strutturarsi soltanto attorno alla polizia. Servono anche degli intellettuali, dei linguisti, degli ingegneri che sappiano decrittare l’ordine del mondo”.

 

Un altro grande problema dello spionaggio francese è, secondo molti osservatori, il numero spropositato di agenzie di intelligence che raccolgono le informazioni, fatto che provoca sovente malfunzionamenti e falle nel coordinamento delle ricerche. Un parlamentare esperto della questione ha esternato la sua rabbia a Libération a proposito della scarsa pertinenza della Direction du rensegnement de la préfecture de police de Paris: “Perché non fonderla con la Dgsi? Più agenzie di intelligence abbiamo, più è alto il numero di frontiere da superare, per non parlare dell’aumento del rischio di dispersione delle informazioni”. Le critiche alla nuova legge, promossa da Jean-Jacques Urvoas (Ps) e Patrice Verchère (Ump), giungono a qualche giorno dall’inchiesta pubblicata dal Monde sulla tragicomica disorganizzazione regnante nella Dgsi.

 

[**Video_box_2**]I servizi segreti francesi, subito dopo la strage islamista di Charlie Hebdo, hanno messo sotto intercettazione una linea telefonica in Algeria attribuita ai genitori dei due giovani attentatori, Said e Cherif Kouachi. Peccato che da intercettare non c’era proprio nulla, perché i due genitori erano morti da più di vent’anni. Inoltre, all'indomani della strage islamista, secondo un’intercettazione riportata dal quotidiano dell’establishement di sinistra, un agente dei servizi avrebbe telefonato a un ex sindacalista della polizia, Jo Masanet. L’agente evocava al telefono la cellula di crisi “con Bernard Cazeneuve (ministro dell’Interno, ndr) e tutti i servizi segreti”, e in seguito pronunciava queste parole: “Bene, invece… bisogna sapere che… ehm… su quegli individui avevamo già le informazioni… li avevamo seguiti, li avevamo sul nostro database”. Li conoscevano, ma non li sorvegliavano. Il giorno dell’attentato, la scheda di uno dei due fratelli Kouachi, Said, è di appena due pagine, le ultime informazioni risalgono al 2012, e non vi è menzionato né il suo matrimonio né la sua paternità.

 

Anche la scheda del fratello Cherif, condannato nel 2008 nel quadro del dossier della filiera iraquena di Buttes-Chaumont, era fortemente incompleta, scrive Le Monde. Tra i retroscena incredibilmente grotteschi, risalta infine la cantonata sui tre indirizzi in possesso dei servizi segreti francesi, subito dopo l’attentato, per il mandato di cattura di Said Kouachi: tutti e tre sbagliati. Uno di questi, a Pantin, ha portato i servizi a casa di un omonimo anziano di ottantuno anni.