Il momento del voto del primo ministro Benjamin Netanyahu (foto LaPresse)

Bibi o Herzog? Israele attende gli exit poll e litiga sul suo futuro

Rolla Scolari
Dimenticati gli appuntamenti elettorali un po' sottotono degli anni passati, nel 2009 e nel 2013, quano non c'era stata una vera battaglia e nessuno aveva davvero messo a rischio il futuro politico del primo ministro Benjamin Netanyahu.

Tel Aviv. Litigano, gli israeliani, discutono con toni di voce altissimi, intervengono nelle discussioni degli altri gli elettori di un affollatissimo seggio nel cuore di Tel Aviv, vicino alla centrale via dei caffè e dei ristoranti Ben Yehuda.

 

E lì, come in altri seggi visitati in città, il numero degli attivisti con i loro banchetti colorati, le magliette dei candidati, gli adesivi da attaccare al paraurti dell’automobile sono molto più numerosi rispetto agli appuntamenti elettorali un po' sottotono degli anni passati, nel 2009 e nel 2013. Allora, infatti, non c'era stata una vera battaglia, nessuno aveva davvero messo a rischio il futuro politico del primo ministro Benjamin Netanyahu – al governo da sei anni –, oggi alle prese con i due rivali dell'Unione sionista, il laburista Isaac Herzog e l'ex ministra della Giustizia Tzipi Livni.

 

Si litiga davanti ai seggi come si litigava qualche giorno fa nei mercati cittadini o nelle aule delle scuole dei sobborghi usate dai candidati per tenere tribune politiche. Il primo ministro divide. Divide la sua campagna che si è incentrata sulla questione della sicurezza, sua eredità politica: c'è chi va a votare pensando che la destra possa mettere un freno a un accordo nucleare con l'Iran – perseguito dalla comunità internazionale e dagli Stati Uniti – ritenuto dannoso per Israele, chi teme le spinte jihadiste a nord della Siria, chi crede che la formazione di uno stato palestinese non possa far altro che indebolire la sicurezza del paese. Per questo, in un dietrofront di peso in cui ha ritrattato la sua apertura del 2009 alla soluzione a due stati, Netanyahu ha cercato ieri di riacciuffare elettori nella destra più radicale annunciando che, se rimarrà premier, non ci sarà uno stato palestinese.

 

 

 

Alla sicurezza – dice invece davanti a un seggio una regista da poco arrivata da New York, al suo primo voto in Israele – si arriverà soltanto attraverso "una soluzione" con i palestinesi, attraverso colloqui che Herzog promette di riattivare. Questo apre uno degli argomenti che più hanno sfruttato i laburisti in campagna elettorale: la promessa di rimarginare le fratture con Washington: "Sono anche cittadina americana e l'America è stufa di Netanyahu e del modo in cui umilia Barack Obama e il paese che amiamo. Ci vuole un cambiamento".

 

[**Video_box_2**]L’Amministrazione Obama è stata accusata da più parti di essersi mossa in favore di Herzog e contro Netanyahu, considerato un alleato scomodo sulla questione del nucleare iraniano e della Palestina. Da giorni Herzog è presentato come il favorito, anche i sondaggi danno alla sua coalizione qualche seggio di vantaggio su Netanyahu, eppure, nonostante l’aumento dei consensi, il Labor ancora si chiede se questo basterà contro King Bibi. Una concatenazione di elementi favorevoli come quella di queste elezioni è difficile ricrearla, per i laburisti perdere vorrebbe dire aver sbagliato tutto.

 

Tra discussioni sulle rate del mutuo, i prezzi dei budini e le minacce jihadiste, la battaglia tra Bibi e Buji – i due nomignoli dei candidati Netanyahu e Herzog – appassiona Israele perché si gioca all'ultimo seggio. Le televisioni nel giorno delle urne restano accese sulle dirette politiche in ogni negozio, nei caffè – colmi ieri a Tel Aviv come la spiaggia cittadina, visto che per il voto è stato indetto un giorno di vacanza – i nomi dei due candidati favoriti si rincorrono sulla bocca di tutti, gli amici organizzano ritrovi serali al bar in attesa degli exit poll, come se fosse una partita di Champions League, da decidersi ai tempi supplementari.

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