Il ministro dell'Istruzione insiste contro la festa islamica. Ma questa volontà di decidere in modo dirigistico sul calendario cozza platealmente con le idee di dare maggiore alle scuole, alle università, ai musei e di fare anzi dell’autonomia una bussola politica generale
Dopo quasi un mese di polemiche forzose o inutili attorno al caso della scuola Iqbal Masih di Pioltello, nel milanese, di chiudere nel giorno della fine del Ramadan – motivazione non religiosa ma tecnica, la maggioranza degli alunni islamici non sarebbero andati a scuola – è difficile comprendere il motivo per cui il ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara insista con tanta intransigenza sul suo “niet”. Se sia una sua intima convinzione, se sia un cedimento politico alle posizioni sovraniste (e più sguaiate) della maggioranza di cui fa parte – nel weekend ne ha parlato infatti alla festa della Lega a Varese – oppure per una interpretazione erronea che gli fa contraddire, nelle affermazioni, quei principi di autonomia che sono un caposaldo, a parole, del governo in cui lavora. Valditara ha ribadito quanto aveva già detto: “Le scuole non possono stabilire nuove festività in modo diretto o indiretto”. Il che è vero. Per introdurre nel calendario delle istituzioni – la scuola è un’istituzione – o dei contratti di lavoro festività religiose occorre un’intesa con lo Stato, anche se non in forma di un vero concordato.
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