editoriali

Il commissariamento di Piantedosi

Redazione

La scelta di Meloni di affidare la gestione del dossier immigrazione al Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (Cisr), guidato da Mantovano, è un brutto segnale per il Viminale

Nel marzo scorso dovette perfino vergare un comunicato per smentire le indiscrezioni (evidentemente esagerate) che lo davano come prossimo alle dimissioni. S’era da poco consumata la tragedia di Cutro, la sua strategia difensiva non era parsa esattamente convincente, quella offertagli da Giorgia Meloni non proprio convinta. “Ma davanti a chi dice che non ho più la fiducia della premier, sorrido”, disse allora Matteo Piantedosi. Dimissioni non ce ne furono. Però da allora l’impressione di un ministro spesso periclitante, ancor più spesso isolato, quasi costretto a ratificare continue strambate (su ong e dintorni) decise altrove,  è stata sempre più forte.

 

Fino a quando, tre giorni fa, quell’impressione è diventata qualcosa di più concreto, di un semplice sospetto. Perché la scelta di Meloni di affidare al Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (Cisr) la gestione del dossier immigrazione è una palese scelta di accentrare a Palazzo Chigi la direzione dei lavori su uno dei più gravi problemi che il governo si trova a dover affrontare. A guidare il Cisr, infatti, è il sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano, d’intesa coi vertici dei servizi segreti (nei cui confronti, ed è una voce che se non smentita sarebbe inquietante, proprio ieri dal Viminale sono arrivate delle critiche). Di fatto, un ministro commissariato, come vuole il lessico della politica.

 

E sì che Piantedosi era partito con grandi ambizioni. Divenuto ministro dell’Interno anche per evitare un tragico bis al Viminale di Salvini, s’era però subito affrancato dalla Lega, rivendicando autonomia. E proponendosi come un ministro  iperattivo: sia in patria (il gran debutto dell’imprescindibile decreto sui rave), sia nei numerosi viaggi all’estero. Poi, al dunque, è successo a lui quel che è successo anche a un altro ministro “tecnico”, quel Carlo Nordio scelto da Meloni come Guardasigilli per le tante cose che lui aveva in animo di fare, e poi sollecitato dalla premier a non farle.

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