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Editoriali

Un anno di pantomime sui balneari

Redazione

Il sabotaggio dei partiti è tornato al punto di partenza, ma dieci mesi dopo

A ricordare il vincolo esterno, è dovuto intervenire Enzo Amendola. E’ stato il responsabile di Palazzo Chigi per gli Affari europei, a spiegare ai senatori che s’accapigliavano sul ddl Concorrenza che a Bruxelles non accetterebbero mai il riconoscimento dell’intero valore d’impresa come indennizzo per i gestori delle concessioni balneari. Del resto martedì sera si era lì: alla disputa tra “valore residuo” e “valore effettivo”. E’ nei dettagli che si nasconde il diavolo del legislatore, certo, ma è spesso in quei dettagli che si ingarbuglia l’inconcludenza della politica. E infatti Maurizio Gasparri, uomo di spirito pronto a immolarsi sul bagnasciuga contro la riforma voluta da Draghi, denunciava l’inconsistenza della trattativa: “Mettiamo valore affettivo, allora, no?”. E’ questa l’ultima frontiera della guerra alla Bolkestein. Ora che anche la scadenza per le concessioni è stata riconosciuta al 2023 (come indicato dal Consiglio di stato già a ottobre), ora che s’è stabilito che una eventuale deroga potrebbe essere riconosciuta, e solo per motivate ragioni eccezionali, comunque nell’arco del 2024 (come indicato dall’Ue già a dicembre), ora che tutta la finzione della pantomima s’è rivelata, ecco che si discute sull’indennizzo da riconoscere ai gestori uscenti.

 

I partiti lo intendono calibrare come se le strutture costruite e le attività economiche insediate negli stabilimenti balneari fossero ex novo. Bruxelles dice che vanno misurate tenendo conto degli introiti che, nel corso degli anni, quegli esercizi hanno già prodotto a beneficio dei gestori. E di qui non si scappa. E dunque tocca constatare che, al netto di minimi dettagli, il testo su cui il Senato è chiamato a esprimersi entro il 30 maggio ricalca pressoché pedissequamente quello che fu elaborato tra Mise e Palazzo Chigi nientemeno che a luglio 2021. Un anno fa. Si parla tanto degli eccessi del metodo Draghi, delle storture dovute allo scarso ascolto delle ragioni del Parlamento. In questo caso, l’unica stortura è stata nell’eccessiva fiducia riposta dal premier nella bontà d’intenti del parlamentari.

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