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risiko e carta stampata

La scalata editoriale di Del Vecchio jr ha una posta in gioco: i dati

Stefano Cingolani

L’acquisto del 30 per cento del Giornale e l’offerta per Riffeser. Giochi di potere ma non solo. Un orizzonte possibile su quello che sembra il nuovo petrolio della rivoluzione dell'AI

E’ scoppiata una nuova guerra dei giornali o meglio dell’informazione? Anche, ma non solo, è molto di più perché in filigrana appare ormai evidente la vera posta in gioco: i dati, il petrolio dell’era digitale, come si suol dire. Dunque stiamo assistendo alle prime scaramucce di una vera e propria battaglia sul controllo e il possesso dei dati. Noi giornalisti, noi tutti che con questo petrolio ci sporchiamo le mani, ne siamo co-protagonisti. Ma cominciamo dalle notizie. Un polo che va e un polo che viene. LMDV Capital, cioè la società creata da Leonardo Maria Del Vecchio, ha annunciato che entrerà con il 30 per cento nel Giornale al fianco della famiglia Angelucci la quale aveva acquistato da Berlusconi il quotidiano fondato da Indro Montanelli per farne il perno di un polo editoriale di destra con Libero e Il Tempo. Il progetto non è decollato e l’imprenditore sanitario nonché senatore leghista ha aperto le porte a un socio al quale non mancano i quattrini ereditati da cotanto padre.

                     

 

Finora li ha spesi un po’ qua un po’ là (ne ha dati anche a Flavio Briatore) non sapendo bene dove andare a parare, ma si è innamorato dei giornali o meglio dell’informazione e vuol fare un polo, come è scritto nel comunicato della LMDV. Aveva bussato alla porta di John Elkann offrendo 140 milioni di euro, ma gli è stato detto no perché (e non solo) ci sono trattative aperte per La Repubblica con Theo Kyriakou e per La Stampa con Enrico Marchi il quale ha già il polo dei quotidiani del Nord est e adesso punta ad allargarlo anche al Nord ovest. Tornando a Del Vecchio junior, con il 30 per cento del Giornale (il 25 per cento lo acquista da Paolo Berlusconi e il 5 per cento dagli Angelucci) non si fanno poli e in effetti il comunicato allude ad altre operazioni: non solo quotidiani (sono nel mirino i giornali del gruppo Riffeser cioè il Quotidiano nazionale al quale fanno capo Il Resto del Carlino, la Nazione, Il Giorno, Il Telegrafo), ma anche tv (si è parlato persino de La7).

LMDV dà anche una lisciata patriottica e sottolinea che gloriose testate italiane non debbono finire in mano straniere. E qui il bersaglio è chiaramente Elkann il quale ha preferito Theo il greco. “L’operazione (Giornale, ndr) – spiega il comunicato – si inserisce nel più ampio percorso avviato da LMDV Capital nel settore dei media e si affianca all’esclusiva recentemente sottoscritta per l’acquisizione della maggioranza di un gruppo editoriale italiano, attivo su quotidiani e piattaforme digitali a diffusione nazionale e locale. Le due iniziative delineano il primo perimetro del polo editoriale italiano che Leonardo Maria Del Vecchio intende sviluppare come base del proprio futuro piano industriale nei media. Un progetto industriale per l’editoria italiana”. E già sale il sospetto: chi c’è dietro, chi ispira il ricco erede, c’è lo zampino del governo nazional-popolare? Poli a parte, poche volte si era vista una tale febbre per possedere giornali che vengono dati ancor oggi per spacciati, residui di una gloriosa storia sepolta dalla rivoluzione digitale. C’è del metodo in questa che fino a ieri sembrava una follia?

 

Se diamo uno sguardo oltre le Alpi vediamo che la febbre si sente ovunque, anche in Gran Bretagna dove la storica voce dei conservatori, il Telegraph, parla adesso con la voce del rivale Daily Mail: si anche lì un polo dei giornali di destra in mano al quarto visconte di Rothmere che ha ben cinque nomi: Jonathan Harold Esmond Vere Hamsworth. Intanto a Hollywood la Paramount degli Ellison ha perso la battaglia per la Warner che ha preferito l’offerta di Netflix; Jared Kushner il genero di Trump che sosteneva Ellison, si è ritirato. Non è finita perché si discute su cedere la Cnn, per fare magari un polo tv separato dal polo cinema. Il tourbillon dei poli è parte di una crisi che ricorda gli anni ’80 del secolo scorso quando la prima ondata tecnologica diede il suo colpo di maglio all’informazione. La fase due è arrivata con internet, la terza fase ora con l’intelligenza artificiale. Se i dati sono davvero per il XXI secolo quello che il petrolio è stato per il secolo scorso, allora c’è una questione di fondo da affrontare la più presto: il petrolio si paga, i dati invece vengono presi gratis. Si dice che va bene così perché il dato nudo e crudo non ha valore, ma nemmeno quel succo bituminoso prodotto dalla macerazione delle foreste ha valore in sé, però si versano fior di royalties agli sceicchi oppure, nel suo piccolo, alla regione Basilicata. Il dibattito è aperto. “Per il futuro dell’informazione un tema fondamentale sarà capire come la politica salvaguarda e interagisce, perché qualche forma di protezione è necessaria, non va certo bene che i giornali raccolgano le notizie e qualcun altro le diffonda senza pagarle”, ha detto Marchi nell’intervista al Foglio pubblicata martedì scorso.

Sta nascendo un fronte tra gli editori, i giornalisti, gli operatori dell’informazione, per chiedere norme che impongano le royalties sui dati i quali non sorgano dalle sabbie, ma sono raccolti e lavorati dai giornalisti se parliamo di notizie e analisi, o da scienziati se estendiamo il nostro ragionamento alla medicina, alla fisica, insomma a tutti i territori del sapere. Google, OpenAI, Meta e tutti i colossi digitali senza quei dati accumulati in ingenti masse e già processati per renderli attendibili, non potrebbero esistere. I social media potevano accontentarsi delle chiacchiere tra amici per farci i soldi vendendo le identità digitali e trasformando gli utenti in consumatori. L’intelligenza artificiale va ben al di là, ha bisogno di informazioni complesse altrimenti sarebbe solo un gioco di società. Dunque, se questo è il panorama, bisogna occupare il territorio, impadronirsi dei pozzi (alias giornali, radio, tv, portali ecc.) e vendere il petrolio digitale al maggior offerente nelle migliori condizioni. Ma c’è di più, naturalmente, perché l’informazione ha a che fare con i valori, Marchi l’ha chiamata “l’infrastruttura di una società libera”. Una definizione che mette a tacere gli aedi dell’anarchia digitale.