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Ore cruciali

Lula, Meloni e l'imbarazzo per gli agricoltori

Davide Mattone

La telefonata tra la premier e il presidente brasiliano riapre la partita Mercosur: Bruxelles corre contro il tempo e punta al via libera in Consiglio e alla firma politica a Foz do Iguaçu, ma l’Italia chiede garanzie per gli agricoltori, per le quali si dice "politicamente imbarazzata". Oggi si capirà se è solo una pausa tattica o l’inizio di un rinvio senza fine

Ieri a ora di pranzo Giorgia Meloni e Luiz Inácio Lula da Silva si sono sentiti al telefono. Sul tavolo c’era il Mercosur: l’accordo America che rischia di slittare a gennaio, o di finire nel cassetto se il rinvio diventa abitudine. Il calendario di Lula e von der Leyen era chirurgico: via libera oggi 19 dicembre in Consiglio con procedura scritta, senza voto, e firma politica domani a Foz do Iguaçu, alla triplice frontiera tra Brasile, Argentina e Paraguay.

A Bruxelles, da giorni, circola la frase: “se si va oltre il 2025, salta”. E giovedì sera Lula l’ha confermato: “Adesso o mai più. Altrimenti sotto la mia presidenza non si farà più”.  Mercoledì, però, Meloni aveva già frenato in Aula: “Tutte queste misure, seppur presentate, non sono ancora finalizzate. Serve discuterle con gli agricoltori. Riteniamo che firmare nei prossimi giorni sia prematuro”. Non un no, ma una richiesta di ufficializzare il pacchetto delle garanzie.

Un negoziatore del Mercosur, al Foglio, ha commentato: “A Bruxelles ieri erano più ottimisti, ma un fallimento avrebbe un costo enorme sulla credibilità commerciale dell’Ue. E proprio ieri il Brasile ha trattato con gli Usa sui dazi come opzione di riserva”. E quindi la macchina Ue non si è fermata. Il 16 dicembre l’Europarlamento ha approvato a larga maggioranza il nuovo regolamento sulle clausole di salvaguardia. Mercoledì il trilogo è arrivato un’intesa provvisoria e il Coreper potrebbe mettere il sigillo oggi.

Lula, in conferenza stampa a Brasilia, ha raccontato il vis a vis telefonico: “Meloni non è contraria, ma imbarazzata per gli agricoltori; chiede una settimana, 10 giorni, al massimo un mese”. Palazzo Chigi ha risposto: l’Italia è pronta a sottoscrivere appena arrivano “le risposte necessarie”, che “possono essere definite in tempi brevi”.

Oggi si capirà se il “prematuro” di Meloni è un no fino a gennaio o solo una pausa per strappare l’ultima garanzia senza far saltare un negoziato lungo venticinque anni. Oppure, se la chiamata di Lula servirà a quest’ultimo a salvargli la faccia se l’accordo dovesse comunque essere firmato nel 2026. Meloni intanto è sotto pressione, e fino alla decisione del Coreper di domani, tutto è possibile.