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Il Colloquio
Se l'Italia non dà l'ok ora, l'accordo Ue-Mercosur salta. Parla Cimmino, vicepresidente di Confindustria
L'associazione degli industriali avverte: l'intesa commerciale non è solo agricoltura. In gioco c'è la pressione dei dazi, accesso a materie prime critiche, gare pubbliche e un nuovo mercato per gli esportatori italiani ed europei. Ma il rischio non è solo un trattato che slitta, ma una fiducia diplomatica e commerciale che si rompe
“Se la firma slitta io sono quasi convinta che l’accordo possa saltare” commenta al Foglio senza tanti giri di parole Barbara Cimmino, vicepresidente di Confindustria per l’export e l’attrazione investimenti. Il tema è l’accordo Ue-Mercosur, e l’Italia è l’ago della bilancia tra la richiesta francese di rinviare il voto a gennaio e il calendario di Lula e Ursula von der Leyen.
Senza un sì in Consiglio europeo entro il 19 dicembre, la firma Ue-Mercosur, prevista per il 20 dicembre, scivola nel 2026. E da Bruxelles cresce l’ansia di perdere peso geopolitico, insieme alle garanzie sulle materie prime critiche e alle tutele sulle Indicazioni geografiche (Ig). “In Consiglio si vota a maggioranza qualificata: il 65 per cento basta, e la Francia non è decisiva. Il voto dell’italia è cruciale e lo sappiamo da giugno – dice Cimmino –. La domanda è: cos’è buono per l’Europa? Accogliere la richiesta francese e prendersi il rischio di lasciare un solco diplomatico? Perché il presidente Lula questo lo ha reso chiaro, e lo ha detto anche a Macron di persona”.
Da un lato la vicepresidente si dice più che soddisfatta per la votazione di ieri in plenaria – dove l’Europarlamento ha approvato le nuove clausole di salvaguardia – e per l’atteggiamento dei vari partiti. Dall’altro lato, per Cimmino, il primo mito da sfatare è la caricatura del “no agricolo” come blocco compatto. Il settore agroalimentare è davvero in disaccordo? “Secondo me non fino in fondo”, risponde Cimmino, “sia Coldiretti che Confagricoltura sono consapevoli dei vantaggi, sia diretti che indiretti, anche per l’agroindustria e le Ig. L’accordo però si è incastrato con la partita della Pac (Politica agricola comune) e del bilancio Ue, e si è finiti per far leva sul Mercosur per portare avanti dei punti su questi altri dossiers. Intanto le clausole di salvaguardia sono passate, con una maggioranza amplissima”.
E se il dibattito resta incollato alla carne o alla soia, secondo Cimmino si perde di vista il vero obiettivo: “L’agricoltura è una minima parte dell’intesa. Se rinunciamo a questo accordo rinunciamo a vantaggi e tutele sul commercio delle materie prime critiche e sulle opportunità per le nostre imprese in macchinari, energia, infrastrutture. C’è anche il public procurement: imprese italiane e del Mercosur in pari condizioni nelle gare. E’ folle pensare di rinunciare. E’ un accordo che incorpora Parigi e tanta sostenibilità: è un confine epocale” dice l’esperta. Poi Cimmino commenta la parola magica, quella che suona sempre bene perché sembra morale ed etica: la reciprocità: “Sulla reciprocità si fa molta confusione: la reciprocità vera e propria non esiste nel diritto internazionale. Esistono non discriminazione e pari trattamento, e ciò che conta è il controllo ai confini”, aggiunge.
Serve tempestività, insiste Cimmino; esattamente quella che Trump critica all’Ue: “Se non si firma, l’Argentina va avanti con gli Stati Uniti e il Brasile con la Cina. Lula è stato chiaro: se si va oltre la fine del 2025 l’accordo salta. Perché prenderci questo rischio per una Francia che non cambierà mai posizione? E se guardiamo i numeri, a noi interessa di più il sodalizio con la Germania, che è di fatto il nostro primo partner commerciale, che accontentare Macron per un tema politico”, sottolinea la vice degli industriali.
I numeri che Confindustria ha messo in fila spiegano perché Roma non può che essere a favore: nel 2024 l’interscambio di beni Italia-Mercosur arriva a 13,4 miliardi, con 7,4 di export e un saldo nettamente a favore dell’Italia. Se prendiamo tutto l’interscambio Italia–Mercosur (ossia export e import), più dell’81 per cento delle merci scambiate sono beni industriali, non agricoli o altre categorie, e il 94 per cento del nostro export è fatto di beni industriali. Per l’Ue il risparmio in dazi è stimato in 4 miliardi l’anno e l’11 per cento delle linee tariffarie dell’export Ue avrebbe accesso duty-free dall’entrata in vigore. Nel dossier compaiono anche oltre 13 mila imprese italiane esportatrici e più di 1.400 presenti nell’area del Mercosur. Se l’accordo dovesse saltare, l’Italia rischierebbe di restare schiacciata tra i dazi americani, la concorrenza dell’export cinese e una manifattura domestica segnata dal calo della produttività.
Infine, il punto non è solo firmare un trattato ma evitare una rottura di fiducia: “Una firma che slitta e un accordo che salta lascerebbero un solco negli imprenditori dell’America latina, e con il Brasile una ferita diplomatica. Il futuro dell’Europa passa da scelte tempestive e coraggiose, non più rimandabili” conclude Cimmino.