L'Analisi
Nella space economy l'Italia è un'eccellenza hi-tech sottovalutata
I nuovi conti Istat-Asi rivelano un’industria spaziale da 8 miliardi con produttività e salari sopra la media, mentre governo e opposizioni ignorano il settore industriale nelle loro agende
Altro che paese senza hi-tech: martedì 9 dicembre l’Istat, insieme all’Agenzia spaziale italiana (Asi), ha puntato un telescopio sui conti nazionali e ci ha aggiunto il settore dello spazio, misurandolo come comparto a sé. “Economia dello spazio”, lo chiama il nuovo conto tematico. Da Starlink in giù è chiaro che le costellazioni di satelliti sono la nuova infrastruttura della tecnologia e sempre più della difesa, ma nel dibattito italiano lo spazio resta un tema da addetti ai lavori, quasi una faccenda dell’industria estera.
Secondo l’Istat nel 2021 l’industria dello spazio italiana ha generato 8 miliardi di produzione e 2 miliardi di valore aggiunto, lo 0,1 per cento del pil, con poco più di 23 mila addetti. E questa è solo la parte civile della produzione, perché l’istituto chiarisce che dal rapporto sono escluse le spese connesse alle funzioni di difesa nazionale. Ogni addetto produce in media 84,8 mila euro di valore aggiunto, circa il 65 per cento in più della media, con retribuzioni nella parte upstream (prodotti e servizi usati nello spazio, come i satelliti) più alte del 55 per cento rispetto al resto dell’economia. Le imprese dell’upstream spaziale infatti sono molto più internazionalizzate del resto dell’economia. Il settore scambia con l’estero 2,1 miliardi di euro in export e 1,6 miliardi di import, e investe in beni materiali e in ricerca e sviluppo.
Quasi l’80 per cento del valore aggiunto viene da grandi imprese con più di 250 dipendenti, e il 90 per cento da gruppi multinazionali. E circa il 90 per cento dell’attività space si concentra Lazio–Lombardia–Piemonte che da solo vale la gran parte del valore aggiunto.
Dunque, sconvolgerà i più, ma anche l’Italia ha un comparto hi-tech spaziale d’eccellenza che è produttivo (e ciò gli consente retribuzioni sopra la media) e che si colloca su frontiere tecnologiche all’avanguardia, anche sul fronte europeo.
Leonardo, con Telespazio e Thales Alenia Space, è nei grandi programmi europei Galileo e Copernicus e nella costellazione Iris2 per le comunicazioni sicure. Thales Alenia Space ha inaugurato a Roma la Space Smart Factory, una fabbrica digitale da 100 milioni per arrivare a cento satelliti l’anno, fra usi civili e militari. Avio, da Colleferro, costruisce i razzi Vega e Vega C per portare in orbita piccoli satelliti. E poi c’è il new space italiano: D-Orbit, che con il suo Ion Satellite Carrier (per il rilascio di piccoli satelliti) ha superato i duecento “payload” consegnati in orbita, vendendo servizi di logistica spaziale a clienti pubblici e privati.
Il dato Istat arriva in concomitanza con l’apertura del New Space Economy Expoforum alla Fiera di Roma, dove la filiera si mostra a istituzioni e investitori. Teoricamente, è il momento in cui quei numeri smettono di essere un esercizio statistico e diventano materia di politica industriale. Se non fosse che l’industria (15 per cento del pil) resta la grande assente dalla manovra. Se ci si domanda poi perché l’Italia cresce poco, basta contare le ore di talk show dedicate all’industria spaziale e quante ai micro-scontri tra politici, ai bonus, etc.
In Europa le cose vanno però diversamente. Pochi giorni fa, alla ministeriale dell’Agenzia spaziale europea (Esa) a Brema, gli stati membri hanno approvato il più grande aumento di bilancio di sempre, portando i fondi Esa a 22,1 miliardi nel prossimo triennio (+ 30 per cento). In quel pacchetto rientra anche lo European Resilience from Space, il programma sostenuto dai governi europei per una rete di satelliti a uso civile e militare, e che per la prima volta introduce nell’agenda dell’Esa una dimensione difensiva esplicita. In parallelo la Commissione europea ha presentato la sua Vision per l’economia spaziale e il progetto di Space Act, per trasformare programmi come Galileo, Copernicus e Iris2 in un mercato integrato, con al centro autonomia strategica e sicurezza.
L’Italia è già seduta sui tavoli Ue più importanti, e ha un settore high tech che, pur valendo solo lo 0,1 per cento del pil, ha produttività e salari da fascia alta industriale. Eppure l’agenda del governo e delle opposizioni ancora non riconosce l’industria spaziale come il fronte economico e strategico prioritario. Meglio la patrimoniale.
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