Foto:Ansa.
Una Breve Indagine
Il mistero del carovita in Italia
L’inflazione italiana è una delle più basse in Europa ma la percezione della famiglie è differente. Perché? Prezzi stabilizzati in alto, salari indietro e un equilibrio strutturalmente più povero
Non lo direste mai ma c’è una novità: oggi l’inflazione italiana è tra le più basse dell’area euro. Ieri l’Istat ha comunicato le stime provvisorie per l’indice dei prezzi al consumo, che a novembre ha registrato l’1,2 per cento su base annua, come il mese precedente. A ottobre l’inflazione media dell’area euro è stata del 2,1 per cento, con Germania al 2,3 per cento e Spagna al 3,2. Nonostante ciò, la percezione generale (qui da noi ma non solo) è che il caro vita non stia diminuendo e che i prezzi restino alti o addirittura in crescita. Anche la presidente della Bce, Christine Lagarde, lo ha notato durante una visita a Firenze al mercato di Sant’Ambrogio: “I prezzi dei generi alimentari sono troppo alti, dobbiamo fare in modo che diminuiscano”. Ma perché questa sensazione? Eppure l’inflazione scende, l’Italia non è più un paese così in crisi, il governo si sta avviando verso l’uscita dalla procedura sul deficit eccessivo, l’economia viene promossa dal commissario Ue Valdis Dombrovskis per i conti in ordine.
Le ragioni sono molteplici. In primis, il carrello della spesa continua a correre più dell’indice generale. A ottobre l’inflazione del paniere alimentari e cura della casa e della persona è stato intorno al 2,1 per cento contro l’1,2 per cento dell’indice complessivo. I beni di prima necessità aumentano dunque di più della media, e così il rallentamento inflazionistico si vede prima sui dati di Istat ed Eurostat che non sugli scaffali del supermercato.
La seconda ragione è nella domanda interna. I consumi degli italiani restano contenuti e orientati alle spese essenziali, e le elaborazioni Istat sulla spesa delle famiglie indicano che sia nel 2023 che nel 2024 circa un terzo dei nuclei ha limitato in quantità e qualità la spesa per cibo. Nel secondo trimestre di quest’anno la propensione al risparmio è salita al 9,5 per cento, sui massimi degli ultimi 30 anni, e secondo l’Istat le vendite al dettaglio a settembre sono diminuite dello 0,5 per cento rispetto al mese precedente. Malgrado gli ultimi aumenti contrattuali, le retribuzioni reali restano inferiori ancora dell’8 per cento circa rispetto ai livelli del 2021 (pre crisi dell’inflazione). In sostanza, i redditi stagnano mentre i prezzi già elevati non tornano indietro.
La terza ragione riguarda l’energia. Secondo l’Istat, a ottobre 2025 i prezzi dei beni energetici regolamentati sono diminuiti dello 0,5 per cento su base annua e del 6,4 per cento rispetto a settembre, dopo che a settembre l’aumento tendenziale era ancora del 13,9 per cento. Anche i carburanti hanno rallentato: benzina e gasolio segnano oggi variazioni annue molto contenute. Questo tira giù l’inflazione ufficiale più di quanto si percepisca in bolletta, perché i confronti sono su anni in cui i prezzi erano già esplosi. Come molti intuiranno, un ribasso percentuale rispetto ai picchi record non significa un ritorno ai prezzi bassi di partenza.
C’è infatti da considerare anche un “effetto memoria”: famiglie e imprese confrontano i prezzi di oggi non con quelli recenti, ma con quelli di prima della fiammata inflazionistica. Tra il 2022 e il 2024 i prezzi al consumo in Italia sono aumentati di oltre 15 per cento (indice cumulato). Secondo le elaborazioni Istat sui prezzi al consumo i prodotti alimentari e le bevande analcoliche costano oggi quasi un terzo in più rispetto al 2019. Il confronto nella testa dei consumatori non è con l’anno scorso ma con il mondo di qualche anno fa. Ma anche qui, oggi l’inflazione bassa significa che quel livello non sta più salendo velocemente, non che stia tornando indietro.
Anche i mutui e i debiti contribuiscono alla sensazione di caro vita permanente. I tassi effettivi sui nuovi prestiti per l’acquisto di abitazioni si aggirano tra il 3,3 e il 3,7 per cento mentre l’inflazione italiana è poco sopra l’1 per cento. Il risultato è che il costo reale del debito o del finanziamento, al netto dell’inflazione, resta elevato e impegna una quota consistente del reddito disponibile (che non ha recuperato l’inflazione), mentre i prezzi di molti beni si sono stabilizzati su livelli più alti che in passato.
La storia, dunque, è più triste di quanto sembri. Se da un lato l’indice generale è tenuto a bada da bollette e consumi fiacchi, dall’altro il carrello resta più caro di ieri e i salari non hanno rimarginato la ferita inflazionistica. E’ un equilibrio strutturalmente più povero: con una produttività debole, la competizione globale che incalza, imprese e famiglie incerte sul futuro e retribuzioni ancora indietro, l’Italia non è solo un paese a bassa inflazione e bassa crescita. E’ proprio un paese che ogni giorni, a causa di alcuni fondamentali, rischia l’osso del collo.