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la gara
Chi sono i fondi americani che vogliono comprare tutta l'ex Ilva
Tra le dieci proposte arrivate per acquistare il polo siderurgico italiano ci sono anche due fondi d'investimento con un background manifatturiero: sono gli unici interessati all'intero gruppo. Le altre offerte e i prossimi passi
Alla fine Jindal Steel se ne è tirata fuori. L’offerta del gruppo indiano non c’è tra quelle arrivate venerdì scorso per l'acquisizione degli stabilimenti ex Ilva. Così come non c’è traccia di Baku Steel, azienda siderurgica azera, fino a poche settimane fa la principale favorita dal governo per l’acquisto e il rilancio di uno dei dossier industriali più complessi degli ultimi decenni. Al loro posto ci sono dieci offerte, due per tutto il complesso aziendale (comprensivo degli stabilimenti di Genova, Novi Ligure e Taranto), e le restanti otto per singoli asset.
Da qui il rischio concreto di “spezzatino”, con pezzi di Ilva in mano a più soggetti industriali. Uno scenario mal tollerato dai sindacati, che nel fine settimana hanno invocato la nazionalizzazione dell’azienda. Poi hanno annunciato di non voler partecipare all’incontro fissato per oggi dal ministero del Lavoro sulla cassa integrazione straordinaria all'ex Ilva, chiedendo invece di essere convocati da Palazzo Chigi per capire quale percorso il governo intenda dare al futuro dell’acciaieria.
I venti di crisi non fanno neanche più notizia intorno al nodo Ilva, su cui diversi nomi sarebbero comunque interessati a mettere le mani. A puntare gli occhi sull’intero pacchetto aziendale c’è Bedrock Industries, fondo d’investimento di Miami creato nel 2015 dall’americano Alan Kestenbaum. Le sue scelte d’investimento si concentrano principalmente sul comparto dei metalli, estrazione mineraria e risorse naturali. “Mentre le aziende di questi settori faticano a reperire il capitale necessario in questa fase di transizione, Bedrock Industries è ben posizionata per investire dove altri hanno dovuto abbandonare il mercato”, si legge sul loro sito. Lo storico dei loro investimenti sembra confermarlo. L’anno successivo alla fondazione, Bedrock ha acquistato la Stelco Holdings, azienda siderurgica canadese finita in bancarotta nel 2007. Il processo di ristrutturazione avviato dal fondo americano ha portato, nel 2017, alla quotazione in borsa della società, e nel giro di qualche anno a una nuova acquisizione del valore di 2,5 miliardi di dollari da parte del produttore d’acciaio americano Cleveland Cliffs. Kestenbaum oggi siede ancora come Ceo del colosso siderurgico canadese, con l’obiettivo però di ripetere lo stesso schema in Italia.
Anche la cordata di Steel Business Europe e Flacks Group è interessata a prendersi tutta l’ex Ilva. La prima è una società slovacca specializzata in fornitura di materie prime strategiche e lamiere d’acciaio per le acciaierie dell’Europa centro-orientale, ma anche servizi di logistica e distribuzione. È il braccio tecnico della loro alleanza, a supporto della quale il fondo americano Flacks Group porta la propria esperienza finanziaria, focalizzata sull’acquisizione e sul risanamento di aziende di medie e grandi dimensioni in situazioni critiche. Il suo fondatore, Michael Flacks, punta su aziende “non amate e indesiderate”, come ha spiegato in un’intervista, e l’acciaieria di Taranto sembra rientrare perfettamente in questa definizione. Nel suo portafogli da 4 miliardi di dollari si trovano aziende specializzate nell’estrazione mineraria, produttrici di pompe per il settore Oil & Gas. Vorrebbero inserirci anche l’ex Ilva al prezzo simbolico di un euro (uno in meno di quanto offerto da Avs).
Dagli Stati Uniti all’Abruzzo. A bussare alla porta di Acciaierie d’Italia è anche Renexia, società controllata dalla Toto Holding, attiva nel settore delle energie rinnovabili. Aveva già valutato Taranto per la realizzazione di alcune turbine eoliche di elevata potenza da posizionare in un parco galleggiate da 2,8 GW al largo di Trapani. Alla fine Vasto, in provincia di Chieti, ha avuto la meglio. Ma la società ha comunque scelto di puntare 5 miliardi su alcuni impianti ancillari dell’ex Ilva. Il gruppo si candida infatti a progettare, realizzare e gestire una centrale termoelettrica, una carpenteria metallica, un rigassificatore e un impianto di produzione Dri (Direct Reduced Iron) per la produzione di acciaio “green”, in linea con il piano di decarbonizzazione che vorrebbe mettere a terra il governo Meloni.
Lo spezzatino di Ilva si avrebbe anche con l’offerta di Industrie Metalli Cardinale (IMC) e il gruppo Marcegaglia, interessati solamente a Socova, società francese controllata da Acciaierie d’Italia. La stessa Marcegaglia, insieme a Sideralba, ha presentato un’altra offerta per accaparrarsi Adi Tubiforma, produttrice di profilati in ferro con stabilimento a Salerno, su cui punta anche il produttore Car Srl, altro offerente della lista. L’holding metallurgico lombardo è presente in un’altra cordata, questa volta con altri due nomi legati all’acciaio, il produttore Profilmec e il gruppo Eusider, che puntano all’acciaieria di Racconigi. La stessa Eusider compare poi in un’altra offerta firmata insieme a Trans Isole, specializzata in trasporti, relativa all’impianto di Marghera.
La parola ora passa ai commissari di gara, che valuteranno le proposte dando priorità a quelle totalitarie dei due americani, come sottolineato dallo stesso ministro del Made in Italy Adolfo Urso.