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costi e benefici

Decarbonizzazione: occorre fare bene, non fare presto

Francesco Ramella

Sul riscaldamento globale meno allarmi e più dati. Ridurre le emissioni comporta oggi costi più alti e minore disponibilità di energia, e per questo motivo ci rende più vulnerabili. Appunti per una transizione intelligente

Fa più freddo ma non fa notizia. I dati raccolti dai satelliti nella parte inferiore dell’atmosfera nel luglio appena terminato fanno segnare un -0,4 °C rispetto allo stesso mese dell’anno scorso e il raffreddamento è di più di mezzo grado rispetto al record registrato nell’aprile del 2024.

Questo vuol dire che il riscaldamento globale è come d’incanto scomparso? No. Se si guarda al lungo periodo la tendenza è chiara. In media, da quando sono iniziate le misurazioni nel 1979, la Terra si è riscaldata di 0,16 °C per decade equivalenti a 1,6 °C nell’arco di un secolo. Resta aperta la discussione su quale parte dell’aumento di temperatura sia attribuibile alle emissioni di CO2 ma è ormai assodato che queste siano un fattore rilevante come peraltro già teorizzato dal chimico svedese Svante Arrhenius a fine ‘800. L’inversione di tendenza dell’ultimo anno ci dice però che esiste anche una ampia variabilità naturale del clima.

Se il trend ribassista passa quasi inosservato, ampio spazio viene sempre riservato ai picchi di caldo come è successo l’ultima volta a fine giugno. “Triplicati i decessi” recitavano, all’indicativo come se si trattasse di un fatto accertato, i titoli copiancollati di quotidiani e tg. In realtà si trattava di una stima contenuta in uno studio dell’Imperial College di Londra. E la previsione non è invecchiata bene: come attestato in un rapporto del Sistema di sorveglianza della mortalità giornaliera, nella settimana tra il 25 giugno e il 1° luglio “tra le città del Nord la mortalità nella classe di età 65-74 anni è stata inferiore all’atteso, mentre la mortalità totale e nelle classi di età 75-84 e 85+ anni è stata in linea con il dato atteso; tra le città del Centro-Sud la mortalità totale e in tutte le classi di età (65-74, 75-84 e 85+ anni) è stata in linea con il dato atteso”.

Dunque, più caldo ma non più morti. Perché? La spiegazione più semplice è che ci stiamo adattando grazie a migliori sistemi di previsione e allerta e alla maggior diffusione degli impianti di condizionamento i cui benefici sono  assodati. Negli Stati Uniti, dove l’aria condizionata è presente in nove abitazioni su dieci, il tasso di mortalità per eccesso di calore è diminuito del 75 per cento dopo il 1960 pur in presenza di un aumento delle temperature. Un Rapporto pubblicato su Lancet giunge alla conclusione che nel 2019 questa tecnologia, che contribuisce per meno del 3 per cento alle emissioni mondiali e quindi è responsabile di pochi centesimi di grado di riscaldamento, ha evitato nel mondo intorno a 170mila morti premature. Ma è un altro dato che non fa notizia.

Eppure, sarebbe essenziale conoscere anche questo lato della medaglia e tenerne conto nel disegnare le politiche di decarbonizzazione: l’energia abbondante e a basso costo che i combustibili fossili hanno reso disponibile ci consente di proteggerci dalle avversità climatiche – caldo, freddo, eventi estremi - come non era mai successo prima e fornisce un contributo essenziale al nostro benessere.

Ridurre le emissioni comporta oggi un passo nella direzione opposta, costi più alti e minore disponibilità (se così non fosse non sarebbero necessarie regole e sussidi per incentivare la diffusione delle rinnovabili che vincerebbero spontaneamente nel mercato) e per questo motivo ci rende più vulnerabili. Una transizione intelligente dovrebbe soppesare attentamente costi e benefici. Non si dovrebbe “fare presto” ma “fare bene”. Abbattere una tonnellata di CO2 spendendo cinquanta euro molto probabilmente ci avvantaggia ma se l’onere è dieci volte tanto o ancora superiore ci facciamo male da soli.
 

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