Ansa

L'altro risiko

Perché le banche si preparano a una svolta sulle fondazioni

Mariarosaria Marchesano

Con attivi da 48,5 miliardi, le fondazioni bancarie si trovano divise tra missione sociale e influenze sul risiko finanziario. Il Mef spinge per il rispetto del tetto del 33 per cento sulle partecipazioni. Il nodo è sia politico che economico

Le Fondazioni di origine bancaria, il cui ventiseiesimo congresso nazionale si apre oggi a Gorizia, sono sospese tra la vocazione sociale e il risiko bancario. Con un valore dell’attivo di 48,5 miliardi, secondo l’ultimo dato disponibile del 2023, questi enti (86 in tutto) sono i principali finanziatori del Terzo settore e si possono considerare un pilastro del welfare italiano. Svolgono un ruolo fondamentale nelle comunità e, però, è come se la loro vocazione solidale fosse costantemente oscurata dal ruolo di azionisti delle banche. È come se lo sforzo di seguire l’indirizzo impresso a suo tempo dal patriarca delle fondazioni, Giuseppe Guzzetti, di mantenere un approccio neutrale sul terreno della politica per concentrare le energie sui bisogni delle persone, fosse messo alla prova da un consolidamento bancario agguerrito in cui il governo Meloni sta svolgendo un ruolo attivo. Nelle partite in corso, prima o poi, devono decidere da parte della barricata schierarsi. Basti pensare al caso della Fondazione Crt, azionista di Generali, che nell’ultima assemblea si è schierata con la lista Caltagirone contro quella di Mediobanca-Donnet. Del resto, questi enti sono vigilati dal Mef il cui potere di influenza di recente è aumentato in seguito al tavolo che si è aperto sul tema delle partecipazioni bancarie. Un protocollo ministeriale del 2015 stabilisce, infatti, una regola cardine: il valore della partecipazione detenuta da una fondazione in una singola banca non può superare il 33 per cento del totale del suo attivo patrimoniale.

Dieci anni fa era un altro mondo e quel protocollo – voluto dal governo Renzi con Pier Carlo Padoan ministro dell’Economia – era servito a incoraggiare le fondazioni a diversificare gli investimenti dopo casi di gravi perdite subite con i crac bancari (per esempio Fondazione Montepaschi). Ma dopo gli ultimi tre anni di crescita record degli istituti, è successo che quel tetto è stato superato da 14 fondazioni, secondo la relazione presentata al Mef in Parlamento lo scorso dicembre. Insomma, i maxi profitti del credito hanno fatto correre i valori di Borsa degli istituti provocando lo sforamento della soglia consentita alle fondazioni Così si è aperto il confronto, tutt’ora in corso, tra l’Acri, l’associazione presieduta da Giovanni Azzone, e il ministero guidato da Giancarlo Giorgetti. La relazione non dice chi supera la soglia, ma, secondo notizie di stampa, già sui prezzi di fine 2023 grandi enti come Compagnia di San Paolo e Cr Firenze superavano il tetto delle partecipazioni detenute rispettivamente in Intesa Sanpaolo ed erano vicine al tetto Cariplo e Cariparo, mentre Carisbo avrebbe già venduto azioni per far rientrare la sua quota nei limiti previsti dal protocollo ministeriale. Più volte Azzone ha auspicato che tale protocollo venga reso più flessibile anche per continuare a sostenere al meglio i territori. Infatti, proprio l’abbondanza delle cedole pagate dalle banche alle fondazioni ha dato un contributo forte alle erogazioni che nel 2023 sono salite di circa il 10 per cento rispetto al 2022 (oltre 1 miliardo). Che senso avrebbe per lo stato far diventare più poveri questi enti riducendone la capacità di riduzione delle disuguaglianze? Tanto più che quando si vendono quote di grandi banche italiane c’è la fila di fondi esteri per acquistarle.

Sarebbe un controsenso per chi ha a cuore l’identità nazionale degli azionisti bancari costringere le fondazioni italiane a vendere a soggetti esteri. Però, è anche vero che la regola del tetto esiste e va rispettata a meno che non venga modificata per tenere conto di un contesto di mercato che rispetto al 2015 è mutato. Anche Fondazione Crt e Cariverona, entrambe socie di Unicredit, la banca con il primato borsistico degli ultimi anni, hanno visto crescere notevolmente il valore delle proprie partecipazioni, anche se non è detto che facciano fanno parte delle 14 che hanno sforato il tetto. Lo stesso vale per Fondazione Cr Alessandria, Fondazione Cr Lucca e Fondazione CR Reggio Emilia, che fanno parte del patto di consultazione che detiene il 6,5 per cento di Bpm, banca che si trova al centro di una contesa senza precedenti tra il gruppo Unicredit e Palazzo Chigi. Quanto in questo contesto il potere del Mef sulle fondazioni può condizionare l’esito del risiko bancario? Considerando che la principale banca italiana, Intesa Sanpaolo, in cui sono concentrati il 66 per cento degli investimenti finanziari delle fondazioni, è fuori dai giochi, non è determinante. Ma sicuramente nelle decisioni assembleari in cui si contano i voti fino all’ultimo, le fondazioni possono fare la differenza. E il Mef lo sa.

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