il grande inganno

Quanto ci costa trovare sempre una causa esterna della stagnazione

Guglielmo Barone

Nell'analizzare il declino economico italiano prevale una narrazione troppo spesso basata sulla logica e sulla retorica del nemico esterno, a cui fa da contraltare la deresponsabilizzazione delle politiche nazionali

A partire dai primi anni 90 del secolo scorso, l’economia italiana ha iniziato a perdere terreno rispetto alle altre principali economie avanzate, inaugurando una spettacolare e drammatica stagnazione ultratrentennale riassumibile con la regola del “metà-metà”: il tasso di crescita medio annuo del pil italiano è stato circa la metà di quello dell’area dell’euro che, a sua volta, è stato poco più della metà di quello degli Stati Uniti. Nel 1991 la dimensione dell’economia italiana, valutata in dollari correnti, era quasi uguale a quella della Francia, oggi è inferiore di circa un quarto. Questa stagnazione economica si è via via rivelata per quello che è: non il paradiso della decrescita felice ma un long virus che dipinge di grigio il presente e il futuro nostro e dei nostri figli. Da tempo ci si interroga su questo declino. Ma se gli osservatori più attenti hanno individuato con chiarezza cause e possibili rimedi – basta mettere in fila, per esempio, le Considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia degli ultimi anni – fuori dai circoli dei migliori osservatori indipendenti prevale una narrazione troppo spesso basata sulla logica e sulla retorica del nemico esterno, a cui fa da contraltare la deresponsabilizzazione delle politiche nazionali. Da questo punto di vista Trump è l’ultimo, perfetto, capro espiatorio: è potente, dice e fa cose controverse se non inaccettabili ma, soprattutto, attiva un meccanismo rispetto al quale noi non possiamo fare sostanzialmente nulla. Così ci sentiamo puliti.

 

E’ il mostro cattivo delle fiabe, da indossare nella stagione inverno-primavera-estate 2025. Ma anche prima di lui, la colpa del declino economico italiano è sempre di qualcun altro: degli stranieri che ci rubano il lavoro, dell’euro che non ci permette le svalutazioni competitive e il finanziamento monetario dei deficit, del mitico neoliberismo e della globalizzazione che arricchiscono la Spectre del capitale, e certamente dimentico molti altri colpevoli. Diverse parti politiche e diverse fette di elettorato scelgono il proprio cattivo di riferimento, ma il meccanismo è sempre lo stesso. Una metafora incredibilmente calzante di questo puerile atteggiamento nazionale ci viene da un episodio calcistico. Marzo 2025, partita di Nation League tra Italia e Germania, trentasettesimo minuto. Gli azzurri si fermano lamentandosi con l’arbitro, senza che questi avesse fermato il gioco; nel frattempo gli avversari battono un calcio d’angolo e fanno gol. Palla al centro.

 

Beninteso, qui non voglio esaminare se e in che direzione questi fattori esterni hanno effettivamente influenzato le sorti dell’economia italiana, e in che direzione, ma soffermarmi solo sui costi del meccanismo narrativo della causa esterna che mette d’accordo molti. I partiti politici ci costruiscono sopra l’identità del prodotto che offrono agli elettori, i media ci verniciano le notizie con tinte allarmistiche (e per questo più vendibili e pazienza se così si polarizza inutilmente il dibattito), i cittadini ci trovano un senso al loro crescente malessere. Nel mentre, dietro la cortina di fumo di questo perverso equilibrio di rimozione collettiva, il paese brucia miliardi nel Superbonus, non è in grado di offrire un’istruzione decente ai propri figli, non riesce a riqualificare la spesa pubblica, vorrebbe – in una sua parte politica – irrigidire nuovamente il mercato del lavoro, non abbandona pulsioni stataliste e corporative foriere di cattiva allocazione delle risorse, non affronta seriamente il problema demografico, non sceglie sulla politica energetica mentre vuole fregiarsi del titolo di forza manifatturiera.

 

Tutte scelte fatte (o non fatte) che dipendono solo da noi. E’ più comodo additare il male come altro da sé, proprio come fanno i bambini. Questo inganno va smascherato. La cura c’è e si chiama politica economica dell’età adulta: smettiamo di chiederci che gli altri facciano qualcosa per noi e facciamo noi quello che è nelle nostre possibilità.

 

Guglielmo Barone
Università di Bologna

 

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