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I dati

Tanti bonus assunzione per le aziende, che però fanno poco per creare manodopera qualificata

Oscar Giannino

Le retribuzioni reali continuano a perdere rispetto ai grandi paesi Ue, ma continuiamo a varare incentivi sulle assunzioni di cui beneficiano soprattutto settori a bassa retribuzione e produttività. Quello che manca davvero è una completa formazione professionale

I paradossi del lavoro in Italia vivono di contraddizioni frontali. Il numero di assunti aggiuntivi è record dacché viene censito, ma siamo anche al record dei posti scoperti, perché mancano le qualifiche adatte. Le retribuzioni reali continuano a perdere rispetto ai grandi paesi Ue, ma continuiamo a varare bonus-assunzioni di cui beneficiano soprattutto settori a bassa retribuzione e produttività. Facciamo migliaia di convegni su transizione green, digitale e intelligenza artificiale ma non abbiamo la minima idea di come spendiamo miliardi in formazione dei lavoratori, col rischio che eguale esito avranno i miliardi che il Pnrr devolve ai Centri pubblici per l’impiego. Su quest’ultimo punto, è utilissima la pubblicazione Istat dell’aggiornamento dell’indagine sulla formazione praticata nelle imprese industriali e dei servizi con più di 10 addetti. E’ un’indagine standard europea compiuta ogni cinque anni, in questo caso condotta nel 2022 su dati 2020 (quindi un po’ vecchiotti), il cui rilascio è ora aggiornato coi dati trasmessi da tutte le regioni e province autonome (en passant: la devoluzione in Costituzione delle competenze alle regioni comporta tempi che diventano biblici, i dati servirebbero aggiornati per riorientare in maniera decisa le politiche attive del lavoro di cui la formazione professionale è strumento essenziale).  

L’indagine è su un campione rappresentativo di quasi 200 mila imprese con oltre 9 milioni di addetti, e offre molti dati interessanti. Nel 2020 oltre 4 milioni di addetti ha partecipato a iniziative di formazione, il 49,7 per cento nel nord-ovest, il 41 per cento nel nord-est, solo tra il 32 e il 33 per cento al sud e nelle isole. Mentre in Trentino oltre l’80 per cento delle imprese realizza percorsi di formazione affidati a corsi esterni o interni e al nord la percentuale resta tra il 70 e il 75 per cento, al sud e nelle isole si scende tra il 56 e il 62 per cento, eccezioni rilevanti solo in Abruzzo e Basilicata. Oltre ai divari territoriali, nei dati si legge l’arretratezza di vaste parti del tessuto d’impresa. Come media nazionale solo 6 imprese su 10 tra quelle che offrono formazione ricorrono a forme interne, come il tutoraggio tra dipendenti formati e nuovi o la job rotation, mentre oltre l’80 per cento fa ricorso a corsi esterni. Ma è con la prima modalità che si forma il lavoratore la cui qualifica avanzata oggi manca tanto alla manifattura, non con corsi esterni di antiquata formazione pubblica offerta dalle regioni.

E’ amaro osservare che quattro anni  fa solo il 25 per cento delle imprese effettuava la valutazione delle competenze come strumento ordinario della propria pianificazione, e che solo il 25 per cento dedicasse una parte ordinaria del proprio budget alla formazione. E che alle attività di formazione abbiano partecipato il 72 per cento di quadri e dirigenti sul totale, il 54 dei colletti bianchi, ma meno del 36 di operai e ausiliari, cioè esattamente la parte di mondo del lavoro in cui manca di più oggi nella manifattura un’elevata formazione tecnica per addetti a processi di elevata digitalizzazione della produzione. Aggiungiamo che ovviamente non sappiamo quanta di questa formazione sia stata davvero avanzata e avanzatissima, ed ecco una nuova fotografia a conferma delle difficoltà di scelte ben orientate per bonus-lavoro miranti a far crescere qualifiche e retribuzioni.

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