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Previsioni di bilancio in linea con le nuove regole Ue. Con qualche incognita

Lorenzo Borga

Per adesso il governo sui conti pubblici si tiene cauto. Ma i prossimi anni a preoccupare le opposizioni dovrebbe essere più il ministero dell'Economia che Bruxelles

Tredici miliardi di euro di nuove tasse o minori spese all’anno. E’ questo il numero che terrorizza molti dei partiti italiani che non hanno sostenuto la riforma del Patto di stabilità al Parlamento europeo, astenendosi o votando contro. Il Movimento 5 stelle da mesi denuncia questa cifra a dimostrazione – dicono – della necessità di fare una manovra correttiva in corso d’anno. Numeri che riporta anche il Partito democratico, più a bassa voce visto che a firmare il nuovo Patto è stato anche il suo commissario Paolo Gentiloni (benché la proposta iniziale della Commissione fosse diversa e, senza dubbio, decisamente migliore). Ma come spesso accade quando la politica discute di cifre, in quel numero – 13 miliardi annui – c’è un po’ di vero e molto di sbagliato.

 

La stima è stata partorita dal think tank Bruegel, che successivamente all’accordo trovato tra i capi di stato e di governo lo scorso dicembre aveva diffuso le previsioni di correzione necessaria ai diversi paesi per rispettare le nuove regole europee. Per l’Italia si stimava un miglioramento del bilancio primario strutturale – vale a dire la differenza tra le uscite dello stato e le entrate, escludendo le spese temporanee e il pagamento degli interessi – di 0,6 punti percentuali all’anno. Et voilà, i tagli di 13 miliardi di euro all’anno.

 

Fin qui, la verità. Ma ora cominciano i problemi. Basterebbe guardare ai numeri di contabilità nazionale per capirlo. Nel 2023 l’Italia ha segnato un deficit record del 7,4 per cento e un saldo primario negativo del 3 e mezzo circa: per ogni 100 euro che lo stato ha incassato con le tasse, ne ha spesi più di 107. E’ evidente che per riportare su livelli accettabili lo squilibrio di bilancio un miglioramento di mezzo punto all’anno è il minimo indispensabile. A prescindere dalle regole europee, a imporlo sono il buonsenso e la responsabilità necessaria a maneggiare un debito pubblico che si vuole affidare sempre più nelle mani degli stessi risparmiatori italiani. Non è un caso infatti che alcuni mesi prima del compromesso trovato a Bruxelles, l’esecutivo di Giorgia Meloni – grazie alla spinta del ministro Giorgetti – si sia impegnato su un percorso di correzione dei conti pubblici del tutto coerente con le future regole europee.

 

Nell’ultimo Documento di economia e finanza il governo prevede nel quadro tendenziale 2025-2027 di migliorare il bilancio pubblico proprio di quel mezzo punto percentuale all’anno, almeno. Lo stesso si impegnava a fare nell’aggiornamento al Def 2023 dell’autunno scorso. E’ infatti l’Ufficio parlamentare di Bilancio a certificarlo nella sua ultima audizione: “L’evoluzione a legislazione vigente del disavanzo in rapporto al pil presentata nel Def appare coerente con le indicazioni dell’accordo finale sul quadro di regole della Ue nel caso di un aggiustamento di bilancio in sette anni”. Nessuna manovra correttiva necessaria, i tagli richiesti nelle nuove regole europee sono insomma già incorporati nelle previsioni del bilancio italiane dei prossimi anni. E ci mancherebbe altro, con un deficit da ormai quattro anni più che doppio del limite previsto dai trattati europei. Uno sforzo aggiuntivo sarà semmai richiesto dal 2028 in poi, quando terminerà l’eccezione negoziata da Roma e Parigi che prevede l’esclusione delle spese per gli interessi dalle regole europee e l’Italia uscirà dalla probabile procedura di infrazione che si prepara per giugno. Allora il saldo positivo di bilancio dovrà toccare livelli che non si vedono stabilmente in Italia dal 2002, quando il paese aveva appena vinto la sfida di entrare nella moneta unica.

 

Ecco perché per i prossimi anni a preoccupare le opposizioni dovrebbe essere Via XX Settembre a Roma, sede del ministero dell’Economia, e non Bruxelles. Il governo non ha avuto il coraggio di comunicare i propri obiettivi di bilancio nel Def, né di dirci con che soldi intende rispettare la promessa elettorale di rinnovare nel 2025 i tagli a contributi e imposte per milioni di contribuenti. Le speranze di crescita sono notevolmente sovrastimate rispetto a quanto prevedono i principali organismi nazionali e internazionali. Le privatizzazioni promesse sono state posticipate all’anno prossimo. Non vi è certezza che l’ennesimo decreto sul Superbonus – una calamità per il bilancio pubblico su cui le opposizioni hanno notevoli, se non primarie, responsabilità – abbia veramente messo fine al diffondersi di crediti fiscali che prima o poi lo stato dovrà ripagare. Insomma le previsioni del governo, che per ora rispettano le regole europee e del buonsenso, potrebbero essere scritte sull’acqua. E l’eventuale correzione, allora sì, sarà dolorosa quanto necessaria.

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