Ferdinando Uliano (Ansa)

il ritratto

Ecco Ferdinando Uliano, sindacalista dei fatti alla prova di auto e contratti

Dario Di Vico

Il nuovo numero uno di Fim-Cisl punta su Stellantis più che sui cinesi per aumentare la produzione entro il 2030. Oltre ai problemi dell’auto il sindacalista dovrà affrontare un'altra questione: il rinnovo del contratto dei metalmeccanici in scadenza a giugno

Di Ferdinando Uliano tutto si può dire tranne che tifi per l’arrivo dei carmaker cinesi in Italia. Ha 57 anni ed è un sindacalista bergamasco che ha fatto una carriera lineare di tipo novecentesco. Ha iniziato lavorando in una piccola fabbrica, la Brevi di Telgate, è diventato delegato di base e via via dirigente locale, segretario nazionale e nei giorni scorsi numero uno della Fim-Cisl subentrando a Roberto Benaglia.

Sposato, tre figli, viene raccontato come un appassionato di musica rock e di nuoto ma di sicuro è tifosissimo dell’Atalanta. Prima di scalare con nonchalance il sindacato che fu di Pierre Carniti, Uliano si era fatto apprezzare da tutti i giornalisti del ramo per i preziosi report sulle produzioni Stellantis che sforna con cadenza trimestrale. Un aggiornamento costante di tutti i principali dati produttivi del gruppo, dalla saturazione degli stabilimenti all’andamento dei singoli modelli. Sarà per questo amore dei numeri e della documentazione, e sarà ovviamente anche per l’origine bergamasca, Uliano è considerato un sindacalista dei fatti/numeri e non dei facili comizi. Ma la peculiarità che di lui oggi fa più notizia non è il metodo certosino di produrre azione sindacale quanto, per l’appunto, i dubbi sull’arrivo in Italia di un produttore cinese di auto. Mentre nel resto del sindacato – come annota lui stesso – qualcuno si è “fatto ingolosire dalle voci che circolano”, Uliano ha tenuto sempre la barra dritta e considera le ricorrenti ricostruzioni sullo sbarco delle multinazionali cinesi dell’elettrico una sorta di arma di distrazione di massa.

Per lui il futuro dell’auto italiana dipende da Stellantis e dalle scelte di Carlos Tavares, per cui “poche balle” è da lì che si può arrivare al famoso e fantastico milione di autovetture prodotte in Italia entro il 2030. Obiettivo ambiziosissimo perché, collocato in un contesto di mercato che definire volubile è un eufemismo, si propone di aumentare del 30 per cento la produzione. “Prima facciamo l’accordo al tavolo ministeriale con Stellantis, le regioni e l’Anfia per programmare le produzioni e poi discutiamo del secondo player. Se invertiamo i termini non andiamo da nessuna parte”, è il refrain di Uliano. A oggi la saturazione degli impianti italiani di Stellantis è attorno al 50 per cento mentre la potenzialità arriva a 1,5 milioni di vetture prodotte. La distanza è ampia e il contrattualista Uliano la vuole riempire, almeno in quota parte, prima di discutere di altro.


“E’ da tanto tempo che sento parlare dell’arrivo dei cinesi. Quando era ministro Corrado Passera la Dr Automobil di De Risio già parlava di un’intesa con la multinazionale Chery per Termini Imerese. Poi svanì tutto. Per cui non mi scompongo e soprattutto chiedo a tutti concretezza”, spiega Uliano. In verità il nome di Chery è rimbalzato ancora pochi giorni fa: un take dell’agenzia Reuters ha riferito di contatti tra il gruppo cinese e il ministero di Adolfo Urso, ma Uliano non abbocca. “Non abbiamo alcun riscontro”. Di concreto si sa che i cinesi della Byd dovrebbero far partire il loro stabilimento ungherese e poi è anche vero che è stata Stellantis a far circolare l’ipotesi di un impegno italiano di un’altra ditta cinese sua alleata, la Leapmotor. “L’ho vista come una mossa difensiva di Stellantis, quasi a dire: sono disposto a combattere con le stesse armi. Tutto qua”. E infatti nei giorni scorsi Leapmotor ha fatto sapere di aver scelto la Polonia per il suo investimento europeo. A consigliare di raffreddare gli entusiasmi sul fatto che il famoso milione verrà raggiunto grazie a nuove vetture cinesi prodotte in casa nostra Uliano introduce un’argomentazione di fondo: “Dobbiamo tener conto del rischio di cannibalizzazione. Se da una parte aggiungiamo e dall’altra, per effetto della concorrenza cinese sulle vendite Stellantis, togliamo la somma fa zero e il milione di vetture si allontana”. I pericoli concretissimi che vede Uliano sono quelli di “macchine cinesi di fascia bassa che possono aggredire il mercato della Panda e in questo caso avremmo un problema in più”.


Rimanendo concentrato sugli impegni che Stellantis deve prendere il nuovo numero uno della Fim sostiene che Tavares “ha cambiato registro, prima voleva mettere in discussione addirittura due stabilimenti italiani ora accetta di scendere nel dettaglio degli impegni stabilimento per stabilimento”. È l metodo giusto, sito per sito, ente per ente, così si possono ottenere risposte concrete su volumi e occupazione. “Non dimenticando che dobbiamo tener d’occhio che succede al sistema della fornitura, da dove vengono i componenti e per questo è importante che all’accordo sia associata anche l’Anfia”. Intanto il 12 aprile a Mirafiori si sciopera e Uliano difende questa scelta, unitaria, perché se crolla lo stabilimento-chiave i riflessi a valle per l’indotto piemontese sono incalcolabili. La Fim chiede che nel grande stabilimento di Torino sud vengano prodotti “volumi importanti di una vettura di piccola cilindrata” e il riferimento è agli studi sulla 500 ibrida che darebbe un contributo di 80-85 mila vetture in più all’anno. Sarà un conto della serva ma Uliano lo preferisce alle fantasticherie cinesi e al possibile braccio di ferro Tavares-Urso, che può star dietro le voci di queste settimane e l’affacciarsi delle ipotesi Leapmotor o Chery.


Appena eletto al vertice, Uliano si trova ad affrontare oltre i problemi dell’auto il rinnovo del contratto dei metalmeccanici che scade a giugno. Un rinnovo che si presenta complicato e promette sedute incandescenti. I tre sindacati metalmeccanici chiedono 280 euro di aumento e la riduzione dell’orario a 35 ore ma la controparte, dai primi segnali, non ne vuole nemmeno sentir parlare. Sostiene che così si rischia di spaccare la meccanica made in Italy, con le grandi imprese come Leonardo da una parte e le Pmi tutte dall’altra. Uliano dà una lettura della piattaforma sindacale tutt’altro che estremista e sostiene che ci sono leve e strumenti per recuperare produttività e rendere sostenibile il costo del contratto. “Se c’è il coinvolgimento dei lavoratori, come abbiamo sperimentato in alcune realtà aziendali, cresce l’efficienza, e l’organizzazione flessibile diventa la chiave per modificare la fabbrica”.
 

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