Uber - foto via Getty Images

Trasporti

Lo status-quo dell'innovazione in una sentenza anti Uber 

Carlo Stagnaro

La compagnia dovrà versare un indennizzo a circa otto mila tassisti australiani dal valore di più di 200 milioni di dollari. Il motivo? Concorrenza "sleale" e una class action avviata nel 2019

Uber dovrà versare a circa 8.000 tassisti australiani un indennizzo di quasi 272 milioni di dollari australiani (164 milioni di euro) per compensarli delle perdite che hanno subito per effetto della sua concorrenza “sleale”. È il punto di arrivo di una lunga class action, avviata nel 2019 sulla base di condotte messe in atto a partire dal 2012, quando Uber era sbarcata in Australia. L’accordo è storico sia per la sua entità – si tratta della quinta transazione più grande della storia australiana – sia perché in qualche modo mette fine alla fase in cui Uber si lanciava all’arrembaggio dei diversi mercati. Uno dopo l’altro, quasi tutti i paesi le hanno sbarrato la strada: l’Italia lo ha fatto nel 2015, attraverso una sentenza del tribunale di Milano che ha ordinato di sospendere immediatamente l’utilizzo di auto e driver non professionali. Anche nei quattro Stati australiani (su sei) in cui Uber è rimasta attiva - Victoria, New South Wales, Queensland e Western Australia – l’accusa è proprio quella di avere utilizzato veicoli e autisti privi delle necessarie autorizzazioni e qualificazioni professionali.
 

Nel tempo il modello di business di Uber è cambiato considerevolmente, in alcuni casi coinvolgendo addirittura gli stessi tassisti tra gli erogatori di servizi attraverso le sue piattaforme, in altri per effetto dell’introduzione di apposite regole che ne hanno disciplinato i comportamenti. Si può dire che ormai è del tutto conclusa la fase pionieristica in cui Uber ha cercato di rompere equilibri consolidati approfittando dei vuoi o delle scappatoie normative. Lo status quo ha vinto? Forse in parte sì. Anche Uber ha cambiato strategia: non potendo vincere, ha cercato accordi o alleanze con le corporazioni dei tassisti. Certo, non siamo ancora alla pax: il principale rischio (molto elevato anche in Europa) è l’obbligo di considerare i driver alla stregua di dipendenti, anziché collaboratori occasionali. E questo rischio non può essere mitigato semplicemente aprendo i cordoni della borsa per erogare risarcimenti. 

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