Realtà vs propaganda

I numeri della Coldiretti sono davvero così imponenti?

Luciano Capone

“Con 1,6 milioni di iscritti siamo la più grande organizzazione in Europa”. Ma com'è possibile se in Italia ci sono 1,1 milioni di aziende agricole? E come può essere "più grande" dei colossi Fnsea (francese) e Dbv (tedesca)?

“Il numero è potenza”, diceva uno slogan del Ventennio. E come nessuno, né tra gli estimatori né tra i detrattori, mette in dubbio la potenza della Coldiretti, così tutti sono certi che essa derivi dai suoi numeri: “Con 1,6 milioni di associati, siamo la più grande organizzazione agricola europea”, dice di sé. È sulla base di queste cifre, che impressionano la politica sempre affamata di consenso, che la Coldiretti riesce ad avere una notevole influenza sul governo. Il potere sul ministero dell’Agricoltura del sindacato guidato dalla coppia Prandini-Gesmundo è clamoroso ora che c’è Francesco Lollobrigida, ma in realtà è indipendente dal colore politico dei governi, tutti suggestionati dai numeri. Ma davvero Coldiretti rappresenta oltre un milione e mezzo di agricoltori ed è la più grande organizzazione del settore in Europa?

 

Qualche dato di contesto porta a ridimensionare fortemente questa narrazione. Innanzitutto, bisogna partire dalle basi. Secondo l’ultima rilevazione dell’Istat, in Italia ci sono in tutto 1,1 milioni di aziende agricole (1.133.006 per la precisione): oltre 1 milione di imprese individuali o familiari, 50 mila società di persone, 11 mila società di capitali, 3 mila società cooperative e poi altri enti. Quindi è altamente improbabile che la Coldiretti abbia come associate mezzo milione di aziende agricole in più di quelle esistenti. Anche perché bisogna considerare che in Italia esistono altre importanti associazioni di agricoltori, come Confagricoltura (130 mila iscritti) che raccoglie generalmente imprese più grandi e strutturate, la Cia (150 mila iscritti) e la Copagri (70 mila iscritti) che invece pescano in un bacino simile a quello di Coldiretti. 

 

È anche difficile ipotizzare che il dato di 1,6 milioni di iscritti sia il numero di lavoratori nelle imprese associate, non fosse altro perché nel settore non ci sono così tanti addetti: secondo l’Istat, il numero di occupati in agricoltura, silvicoltura e pesca è di circa 900 mila unità. Si tratta in realtà di Unità di lavoro (Ula), un parametro che accorpa i contratti part-time in unità  a tempo pieno, quindi le teste sono di più, ma dà l’idea dell’ordine di grandezza. In ogni caso, secondo l’Inps sono 390 mila (387.624 per la precisione) i coltivatori diretti, coadiuvanti compresi, che pagano i contributi (300 mila senza coadiuvanti).

 

C’è poi una strana persistenza del dato nel tempo. Coldiretti dichiarava 1,6 milioni di iscritti già nel 2009 (1.627.608 per la precisione), una cifra  che è rimasta costante fino a oggi. Il problema è che in questi 15 anni non è rimasto costante il numero di  aziende. Secondo l’ultimo report “L’agricoltura italiana conta” del Crea (il Consiglio per la ricerca in agricoltura, ente vigilato dal ministero dell’Agricoltura), nel nostro paese si registra  un continuo e inarrestabile declino del numero di aziende agricole: erano 1,6 milioni nel 2010 (1.615.590 per la precisione), sono diventate 1,1 milioni nel 2020 (1.133.023 per la precisione). Un crollo del 30 per cento in dieci anni, eppure il numero degli iscritti alla Coldiretti è rimasto uguale.

 

Come è possibile quindi che la Coldiretti abbia mezzo milione di iscritti in più rispetto al numero delle aziende agricole presenti in Italia e che il numero di associati sia rimasto costante negli ultimi 15 anni se in 10 anni il numero di aziende  in Italia si è ridotto di un quasi terzo? La risoluzione dell’enigma arriva dalla stessa Coldiretti che, a richiesta del Foglio, spiega che all’associazione sono iscritte sia le aziende agricole che le persone: “Le imprese iscritte sono 400 mila, mentre il numero di 1,6 milioni include coadiuvanti, familiari e pensionati”. Un altro dato è forse più significativo a mostrare la rappresentanza nel settore: rispetto alle domande Pac, ovvero le richieste di contributi all’Ue delle circa 800 mila imprese che svolgono l’attività agricola in maniera un po’ più professionale, circa il 35 per cento sono della Coldiretti, il 15 per cento della Cia e il 12 per cento di Confagricoltura.

 

Ma oltre  all’autocertificato numero di iscritti, anche l’autoattribuito titolo di “la più grande organizzazione agricola europea” è da ridimensionare. Prendiamo la Francia, che con il 18 per cento della produzione agricola dell’Ue è la più grande potenza agricola europea: la Fnsea (Fédération Nationale des Syndicats d’Exploitants Agricoles) – la cui presidente Christiane Lambert ora presiede il Copa (l’organizzazione europea degli agricoltori) – con i suoi oltre 200 mila membri rappresenta oltre il 50 per cento delle 390 mila aziende agricole francesi. Per non parlare della Dbv (Deutscher Bauernverband) che in Germania, seconda potenza agricola dell’Ue (14 per cento di produzione agricola), con i suoi circa 300 mila iscritti rappresenta il 90 per cento delle aziende tedesche.

 

Due colossi come la Fnsea e la Dbv dichiarano solo una frazione degli 1,6 milioni di iscritti della Coldiretti. Evidentemente non sanno che per potersi vantare di essere “la più grande organizzazione agricola europea” dovrebbero includere coadiuvanti, familiari e pensionati. È sommando così i numeri che si diventa potenza, almeno in Italia. 

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali