i dati

Andare oltre le lagne sull'auto. Il problema dell'Italia più che di quantità è di qualità

Stefano Cingolani

Uno studio comparato condotto da Federmeccanica e i tre maggiori sindacati conferma che è la produttività del lavoro il vero nodo su cui si gioca il futuro del mercato automotive nel nostro paese

L’Italia abbandonata, umiliata, emarginata da Stellantis unico produttore sul suolo italiano destinato a restare solo nonostante le speranze del ministro Urso. L’Italia regina nella componentistica e cenerentola nella costruzione di vetture. L’Italia che tanto ha dato alla Fiat, alla Fca e ora a Stellantis e poco ha avuto in rapporto agli altri paesi. L’Italia che produce, vende e compra sempre meno. Lo scontro sull’industria automobilistica si gioca in gran parte sul paragone con i concorrenti e i vicini (Germania, Francia, Spagna), ma gli argomenti usati dal circo politico-mediatico si fondano per lo più su voci anziché sui fatti. Facciamoci aiutare da uno studio comparato condotto dalla Federmeccanica, l’associazione confindustriale, insieme ai tre maggiori sindacati. E’ stato pubblicato lo scorso anno, parte dal 2010 e si ferma al 2021, in pieno recupero dalla pandemia. Occupazione, produzione e produttività mettono in difficoltà chi si è gettato a pesce in schermaglie ideologiche. Anche gli incentivi sono stati concessi dai governi in quantità non troppo diverse e muovendosi su direttrici molto simili. 

 

Negli stabilimenti italiani il fatturato per dipendente nel 2019 ammontava a 387 mila e 500 euro, la Francia era prima con 763 mila, poi la Germania con 541 mila, mentre la Spagna era a ridosso dell’Italia (347 mila). Con la pandemia queste cifre si sono ridotte e hanno recuperato tra il 2021 e 2022. La produttività del lavoro intesa come valore aggiunto per dipendente vede primeggiare la Spagna negli stabilimenti dove si costruiscono le vetture (186 mila euro) mentre la Francia è al vertice per i fornitori (79 mila euro). In tutti i paesi la produttività del lavoro è doppia nelle imprese costruttrici rispetto alla componentistica. Per l’Italia non è possibile avere il dato suddiviso ma solo quello totale (76 mila euro), più della Spagna (59 mila euro), ma inferiore di circa 30 mila euro rispetto alla Francia e di 50 mila euro sulla Germania. Dunque, Tavares ha ragione a chiedere un salto e cita come esempio da imitare lo stabilimento di Atessa che assembla veicoli commerciali, dove la produttività è aumentata del 30%. Non solo: non corrisponde al vero il luogo comune che la filiera della componentistica sia più efficiente delle fabbriche da dove esce il prodotto finito. Il piccolo non è bello, non sempre.

 

Prendiamo i salari lordi la cui dinamica dipende dalla produttività. Nel 2019, in Francia mediamente la paga per chi lavora presso gli assemblatori era di 48,7 mila euro l’anno ed è abbastanza simile a quello dei dipendenti nelle imprese fornitrici (45,5 mila). In Polonia stipendi e salari sono decisamente inferiori di circa la metà (21,7 mila ) e un terzo per i fornitori (14,5 mila). Con 95 mila e 700 euro i salari in Germania risultano essere quasi il doppio di quelli francesi e tre volte quelli italiani (tra i 33 e i 30 mila euro). Va detto che i metalmeccanici dell’auto in Italia guadagnano il 27% in più rispetto all’intero comparto manifatturiero e nel decennio sono aumentati del 29,7%, ben oltre la media manifatturiera (+23,4%). 

 

Un argomento forte degli anti Stellantis è che si sono persi posti di lavoro e altri se ne perderanno. Nello studio, i dati italiani si fermano al 2019-2020 quindi dobbiamo imputarli alla sola Fiat Chrysler. Nel 2010 c’erano 172 mila 258 dipendenti, negli impianti di assemblaggio sono scesi da 69.888 a 65.736, mentre i fornitori da 102.370 sono saliti a 102.917; in ogni caso nel 2020 l’insieme degli addetti era di poco superiore al 2010, anche grazie alla cassa integrazione che mantiene il rapporto di lavoro e ha ridotto la sforbiciata del Covid-19. Dunque, nessuna “macelleria sociale”, nessuna selezione darwiniana. Potrà accadere, ma finora abbiamo sentito tanti ululati alla luna. Molto peggio è andata in Francia dove gli occupati nell’automotive sono scesi da 236 mila a 183 mila. La crescita più consistente in Germania che si conferma come unica grande potenza (da 709 a 808 mila) seguita dalla  Spagna (da 242 a 282 mila). Lo studio analizza anche la Polonia dove l’occupazione è cresciuta del 50% in dieci anni e la produttività del 25%. Ma attenzione, il fatturato ammonta a 15 miliardi di euro, l’Italia è a 65 miliardi e rotti, la Spagna a 69, la Francia a 109, mentre la Germania surclassa tutti con 370 miliardi.

 

Nessuna desertificazione, insomma, restiamo nel gruppetto di testa incalzati dagli spagnoli. Dopo questa abboffata di numeri possiamo concludere che le geremiadi sul declino dell’auto sono quanto meno stonate e il problema dell’Italia più che di quantità è di qualità misurata in termini di valore aggiunto e produttività del lavoro. Honi soit qui mal y pense.

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