la dura realtà

Urso e l'inutilità del tabellone alla pompa contro il "caro carburante"

Luciano Capone

La Federazione dei gestori dei distributori di benzina (Figisc), usando i dati del ministero delle Imprese, demolisce la propaganda del ministro sul cartello con i prezzi medi 

L’8 febbraio il Consiglio di stato, dopo la sentenza del Tar che aveva dato ragione ai distributori, discuterà della legittimità del decreto del ministro delle Imprese e del made in Italy (Mimit), Adolfo Urso, sull’esposizione del “cartello” con il “prezzo medio” dei carburanti. Ma a prescindere dal giudizio amministrativo, che riguarda la forma, si può fare una valutazione sulla sostanza: il tabellone è stato efficace? Non ha dubbi Urso, che d’altronde è convinto di aver abbattuto l’inflazione con il “carrello tricolore”. “Col tabellone sul prezzo medio  – dice il ministro – c’è stata una costante riduzione del prezzo di gasolio e benzina”. Non hanno dubbi i distributori di benzina, che sulla base dei dati certificano: “Non è servito a niente”. 

A distanza di un anno dal decreto “Trasparenza” del gennaio 2023 che ha imposto ai benzinai l’ostensione del cartello col prezzo medio regionale, la Figisc – che è la Federazione italiana gestori impianti stradali carburanti, ovvero un’associazione che rappresenta le pompe di benzina – ha pubblicato una valutazione d’impatto molto dettagliata. L’analisi è stata fatta suddividendo l’arco temporale considerato in tre periodi: i tre mesi antecedenti l’annuncio del decreto voluto dal ministro Urso (1° ottobre - 31 dicembre 2022), la fase intermedia ( 1° gennaio - 31 luglio 2023), la fase di applicazione materiale ( 1° agosto - 31 dicembre). E processando tutti i prezzi self di benzina e gasolio delle 457 giornate considerate per un totale di circa 18 milioni di prezzi comunicati e contenuti del database del ministero.

La Figisc poi prende in considerazione i tre fattori che compongono il prezzo alla pompa: l’accisa ivata, che dipende totalmente dalle politiche fiscali dello stato; il costo del prodotto ivato, che dipende dalle oscillazioni del mercato internazionale; il margine industriale lordo ivato del sistema distributivo, che è ciò su cui si è concentrata l’attenzione del governo, visto anche che il decreto inizialmente prevedeva multe salatissime per i gestori.

L’analisi della Figisc cerca quindi di rispondere ad alcune domande. La norma ha calmierato il prezzo finale? No, perché il prezzo nella fase finale è stato mediamente più elevato. Certo, anche perché sono spariti gli sconti sulle accise. Ma ha avuto quantomeno un effetto positivo su qualcuno degli altri fattori del prezzo, tasse escluse? No. Al netto delle normali oscillazioni e delle compensazioni tra costo del prodotto e margine industriale, “non è dato riscontrare, né ciò potrebbe essere ragionevolmente possibile, un qualche effetto attribuibile al cartello del prezzo medio”.

I grafici con l’evoluzione dei prezzi nel tempo, mostrano chiaramente il livello dei margini industriali è stato coerente con la media dei periodi antecedenti o, addirittura, in alcuni casi più sostenuto. Dalla valutazione emerge anche che la norma non ha modificato il posizionamento dei prezzi rispetto alla media, non ha avuto un effetto dissuasivo sui prezzi più elevati (i picchi che attirano l’attenzione dei media e della politica), non ha prodotto un effetto di convergenza verso il prezzo medio (anche nel senso che, per fortuna, non si è verificato che i prezzi più bassi si sono alzati avvicinandosi alla media). “Emerge un bilancio sostanzialmente neutro”, è il giudizio della Figisc.

In pratica: non è servito a niente. Se non a caricare di ulteriore burocrazia le imprese. A distanza di un anno, l’analisi certifica la totale inutilità del “decreto Trasparenza” con cui Urso dichiarò guerra al “caro carburanti”. Quel decreto introduceva tre misure: sanzioni dure per i benzinai, un’“accisa mobile” per sterilizzare l’extragettito dovuto all’aumento dei prezzi e l’esposizione del cartello con il prezzo medio. Le tre frecce erano tutte spuntate: le sanzioni sono subito state ridotte dopo le proteste dei benzinai; l’accisa mobile non è mai partita perché, essendo rivolta a tutti, avrebbe avuto un costo elevato e un impatto impercettibile sui prezzi alla pompa; il cartello, infine, ha avuto un effetto “neutro”.

Cioè nullo. Il ministro Urso, che in questi mesi tra una nazionalizzazione e uno scontro con le multinazionali, si è vantato di aver abbattuto i prezzi dei carburanti e ridotto l’inflazione con la sola imposizione del cartello alle pompe di benzina e del carrello tricolore nei supermercati, ora ha un solo modo per dimostrare che le sue affermazioni siano fondate: smentire l’analisi della Figisc. Senza uno studio robusto del Mimit è il caso di togliere di mezzo questo “cartello”. Esattamente come è accaduto con il “carrello tricolore”, scaduto e non rinnovato. Certo, per Urso sarebbe l’ammissione di aver fatto due cose inutili, ma in fondo non sono le peggiori.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali