Philip Lane - foto Ansa

L'analisi

La linea della Bce tra crisi di Suez, inflazione e recessione secondo Philip Lane

Mariarosaria Marchesano

Il capo economista della Banca centrale europea ha mostrato ieri due grafici per capire cosa sta succedendo al commercio internazionale: due curve opposte, che allontanano sempre di più la prospettiva di un taglio dei tassi di interesse da parte della governatrice Christine Lagarde

La curva del transito dei volumi delle merci cala repentinamente e quella dei costi delle navi che viaggiano dall’Asia all’Europa s’impenna. Per capire cosa sta accadendo al commercio internazionale che passa attraverso il Mar Rosso basta guardare i due grafici mostrati ieri dal capo economista della Bce, Philip Lane, nonché membro del comitato esecutivo, durante una conferenza su politica monetaria e inflazione promossa a Roma da Banca d’Italia e Istituto Einaudi per l’economia e la finanza (Eief).
 

Dal mese di novembre a oggi, le due curve mostrano un andamento diametralmente opposto ed è evidente che è il riflesso del blocco del Canale di Suez. Ma chi si attende che questo possa, almeno per ora, influenzare le prossime mosse della Bce guidata da Christine Lagarde resterà deluso. “La crisi del Mar Rosso ha portato a un significativo calo del trasporto di merci che riguarda soprattutto il traffico tra Cina ed Europa – ha detto Lane –, tuttavia per il momento l’impatto appare limitato perché la domanda resta contenuta”. Se le decisioni della Bce vengono prese sulla base dei dati, questi oggi dicono che l’inflazione nella zona euro è ancora sopra al 2 per cento (a gennaio, per esempio, è scesa meno del previsto), che la stretta monetaria ha provocato un rallentamento economico nell’area ma senza innescare una recessione (anche se la previsione di crescita dello 0,8 per cento per quest’anno potrebbe essere rivista al ribasso) e che l’impatto della crisi di Suez ancora non si vede. Tutti aspetti messi in evidenza da Lane e che potrebbero portare alla conclusione che in Europa, nonostante le crescenti tensioni geopolitiche, non ci sono i presupposti per avviare a breve un taglio dei tassi, tanto più che anche la Federal Reserve si sta mostrando prudente (mercoledì sera ha lasciato invariato il costo del denaro facendo intendere che aspetterà ancora prima di eventuali tagli). 
 

Tuttavia, Lane ha lasciato la porta aperta alla possibilità di un’inversione della politica monetaria evocando quella che è la missione della Bce: “Non vogliamo esagerare con la stretta monetaria e ricordo che il nostro obiettivo di target di inflazione è simmetrico, nel senso che interveniamo in caso di sforamenti al rialzo dell’obiettivo del 2 per cento così come in caso di sforamenti al ribasso”. Quello di cui bisognerebbe prendere atto, per come ragiona la Bce, seppure con sfumature diverse al suo interno, è che non ci sono segnali convincenti che l’inflazione nell’Eurozona si stia avvicinando al 2 per cento, visto che le previsioni dicono che il livello dei prezzi si manterrà su un dato medio del 2,6 per cento per tutto il 2024 con una componente core al 3 per cento. E su questo il capo economista dell’Eurotower è stato chiaro: “Il processo di disinflazione che lo scorso anno è avvenuto con una velocità superiore alle attese portandolo da circa il 10 per cento di fine 2022 a circa il 3 per cento di fine 2023 continuerà anche nel 2024, ma a ritmi inferiori – ha precisato –. Quest’anno ci saranno alcuni progressi ma non tantissimi”. 
 

Insomma, l’ultimo miglio da percorrere è il più difficile. Riguardo ai consumi, Lane ha spiegato che è importante che quest’anno vi sia una crescita degli stipendi in termini reali, cioè al netto dell’inflazione, per poter assistere a una ripresa di questa componente e che la Bce manterrà stretta osservazione il rinnovo degli accordi sindacali. Nel complesso, il capo economista dell’Eurotower non si è molto discostato dalla posizione espressa a metà gennaio quando disse che intraprendere troppo precocemente la strada del taglio dei tassi sarebbe potuto essere “autolesionistico”. Vero è che da allora l’escalation delle tensioni geopolitiche ha reso più evidenti i rischi che corre l’Eurozona, e in particolare la Germania che dipende più di altri paesi dal commercio con la Cina. Vero anche che l’approccio basato sui dati a cui Lagarde si è fortemente ancorata non consente una deviazione dal percorso di mantenimento di tassi elevati fino a quando l’inflazione non sarà completamente sotto controllo. 
 

Ma proprio la “vulnerabilità” tedesca è stata messa in evidenza dal vice presidente della Bce, Luis de Guindos, in un’intervista pubblicata il 31 gennaio sul sito della banca centrale, in cui ammette che la Germania sta andando peggio di altri paesi industrializzati ma si mostra anche fiducioso sul fatto che il paese riuscirà a tornare presto competitivo e a diversificare l’export dei suoi prodotti in paesi diversi dalla Cina. Come per dire che non sarà la recessione tedesca a suggerire alla Bce di cominciare a tagliare. Ma, ovviamente, tutto ha un limite e dall’Eurotower il Mar Rosso viene scrutato ogni giorno.