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L'analisi

Il puzzle occupati-output: il pil italiano potrebbe essere sottostimato

Riccardo Trezzi

Tra il terzo trimestre del 2022 e il terzo trimestre del 2023, l'Italia ha sperimentato un aumento record delle persone con un impiego, mentre il prodotto interno lordo è rimasto quasi invariato, creando un enigma statistico. Tre ipotesi

La crescita degli occupati e del prodotto del loro lavoro tendono a muoversi assieme. Al momento, però, nei dati italiani vi è un enigma. Tra il terzo trimestre del 2022 e il terzo trimestre del 2023, infatti, gli occupati in Italia hanno fatto registrare una crescita record (+2,34 per cento), mentre il pil è rimasto quasi invariato. Le proiezioni per il quarto trimestre confermano la tendenza: forte crescita dell’occupazione ma poca dell’output. Come si spiega questo enigma? In questo intervento discutiamo di alcune ipotesi che possono aiutare a risolvere il mistero statistico. La prima ipotesi è che i dati soffrano di problemi di destagionalizzazione. I dati citati sono calcolati dall’Istat partendo da serie grezze e sottraendone la stagionalità stimata. Secondo la prima ipotesi, negli ultimi trimestri i metodi statistici potrebbero aver sovrastimato la stagionalità e spinto le stime destagionalizzate verso il basso.

Il Covid ha generato problemi in tal senso, ma nel caso specifico siamo portati a escluderlo. I nostri calcoli, infatti, non indicano un problema e il puzzle occupazione-output esiste anche nelle variazioni tendenziali che, per definizione, non soffrono di problemi di stagionalità.

La seconda ipotesi è che sia calata la produttività media del lavoro. Dal punto di vista algebrico, il pil è il prodotto tra numero di occupati e produttività degli stessi. Ergo, se gli occupati aumentano più dell’output la matematica impone che la produttività media cali. Questa tesi è contenuta a pagina 30 del bollettino economico della Banca d’Italia dell’ottobre 2023, basato su uno studio di Eliana Viviano e Fabrizio Colonna. Stando ai microdati, le imprese meno esposte allo choc energetico (tipicamente in settori ad alta intensità di lavoro) hanno aumentato meno i prezzi vedendo così incrementare le vendite e le quote di mercato. Dato il cambio di prezzi relativi dei fattori energia e lavoro, le imprese avrebbero aumentato gli occupati, divenuti relativamente più convenienti. Per una data domanda aggregata, l’output totale sarebbe stato stagnante (sebbene più alto nei settori meno colpiti dallo choc e più basso in quelli energivori) e la maggiore occupazione avrebbe implicato  minore produttività media. Dal canto nostro non mettiamo in dubbio l’evidenza dei microdati, ma rimaniamo scettici riguardo a quanto questa ipotesi possa mettere a posto i pezzi del puzzle, circostanza ammessa dallo studio stesso, per alcune ragioni: (i) il numero di posti vacanti in molti settori era già elevatissimo prima dello choc del gas; (ii) la domanda aggregata può essere salita; (iii) nei settori ad alta intensità di lavoro l’elasticità di sostituzione tra fattori produttivi può non essere elevata; (iv) l’andamento del reddito interno lordo e degli occupati a tempo indeterminato sembrano poco compatibili con una diminuzione della produttività media.

La terza e ultima ipotesi è che la serie grezza del pil possa essere sottostimata. A suggerire un problema di misurazione dell’output è l’evidenza non solo dell’occupazione, che è generalmente misurata con meno errore, ma soprattutto delle ore lavorate e del reddito interno lordo. Mentre il pil ha ristagnato negli ultimi trimestri, il monte ore lavorate è cresciuto di poco meno del 2 per cento tendenziale nel terzo trimestre del 2023, in linea quindi con la crescita degli occupati. Discorso analogo per il reddito interno lordo. Senza entrare nei dettagli, ci limitiamo a dire che una revisione al rialzo del livello del pil non sarebbe nuova. Come l’Istat stessa spiega, le stime preliminari del pil, ovvero i numeri del 2023 che stiamo commentando in questo articolo, sono costruiti su informazioni con limitata copertura dell’universo dei settori produttivi e sono fondate su modelli che conferiscono alle stime, soprattutto in periodi di turbolenze cicliche eccezionali, un livello di incertezza maggiore. Per questa ragione, a settembre 2023, l’Istat ha comunicato una revisione di portata eccezionale del livello del pil del 2021, notizia passata quasi del tutto inosservata. 

A prezzi correnti, la revisione del pil è stata di 34,7 miliardi di euro, con una variazione al rialzo del tasso di crescita rispetto all’anno precedente pari a 2,1 punti percentuali (1,3 punti a prezzi costanti). Tale revisione ha coinvolto quasi tutti i settori economici e quasi tutte le voci dal lato della spesa. Ergo, per quanto detto in questo intervento, non saremmo sorpresi se le prossime revisioni Istat dovessero segnalare ulteriori aggiustamenti al rialzo delle stime del pil, circostanza che aiuterebbe a risolvere il puzzle con il dato degli occupati. Da ultimo, sottolineiamo che le revisioni del pil hanno molte conseguenze, incluso sui saldi di finanza pubblica; ma rimandiamo ad altro intervento le considerazioni in merito.

In conclusione, ribadiamo che al momento esiste un puzzle nei dati ed esistono più ipotesi che certezze. La buona notizia è che nei prossimi trimestri i dati sistemeranno i tasselli del puzzle. La cattiva è che probabilmente dovremo attendere diversi trimestri.

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