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Get Woke, Go Broke

Si pensava che la wokeness facesse arricchire le aziende. Contrordine compagni

Marina Terragni

I consumatori puniscono le aziende e i marchi piegati a intercettare target lgbtq+ & Co. Una lista piuttosto lunga, dalla National Football League a Nike e alla catena di fast food Chick-fil-A. Un brutto “risveglio”

Get Woke, Go Broke: fai il risvegliato e sei rovinato. Su Amazon si vendono anche canotte e felpe con lo slogan, se ne vedranno in giro agli eventi elettorali delle presidenziali americane. Non solo per vecchi conservatori che tifano per Trump e l’eccezionalismo yankee: un incredibile sondaggio realizzato da Newsweek ha verificato che il 72 per cento dei 25-34enni, quegli stessi Millennial che solo un paio d’anni fa stavano in prima linea nella lotta per l’inclusività e la giustizia sociale, oggi condividono il sentiment dello slogan (il woke ci rovina) perfino più di padri, madri e fratelli maggiori.

Non è tutto: secondo il sondaggio, nel fronte antiwoke milita anche il 62 per cento dei sostenitori di Biden. Hillary Cassandra Clinton l’aveva detto chiaro in un’intervista al Financial Times: continuiamo a parlare di trans e andremo a sbattere. “Le cose che interessano a tutti gli altri restano fuori dalla finestra (…) ma quello che non ti aiuta a vincere non dovrebbe essere una priorità”. Della wokeness – Blm, bianchi colpevoli, cancel culture, quote etniche e lgbtq+ nelle produzioni hollywoodiane, sirenette nere, battaglie per i cessi gender neutral, transmania e tutta quanta la dottrina risvegliata – gli americani non ne possono più, democratici inclusi. E manifestano il loro disagio con il boycott, pratica politica in cui sono molto più bravi di noi: non ti compro più. Quello che goes broke sono i fatturati delle aziende e il business non mente mai. La Disney è ormai un caso di scuola, un miliardo di dollari bruciati sull’altare della wokeness, quattro film flop, strage dei dirigenti inclusivi e licenziamenti di massa. Ma secondo TechCrunch, sito americano che si occupa di tecnologia e informatica, la mannaia sta per abbattersi anche sul 20 per cento del personale Pixar. Amazon ha annunciato che lascerà a casa un bel po’ di gente di Prime Video e Mgm Studios: qui il disastro principale sarebbe stato la wokeizzazione di Tolkien nella sfortunata serie Il Signore degli Anelli: gli Anelli del Potere. Un bagno di sangue. Guai anche per Maybelline, nota azienda di cosmetici che ha scelto come testimonial Dylan Mulvaney, influencer transattivista amica di Joe Biden. Dylan ha inguaiato anche Anheuser-Busch, azienda che produce Bud Light, la birra più venduta negli Stati Uniti: secondo i conti di JP Morgan la sua faccia stampata sulle lattine ha prodotto un -26 per cento di utili. “L’azienda non ha mai avuto intenzione di prendere parte a una discussione che divide la gente”, ha cercato di parare il colpo il ceo Brendan Whitworth. “La nostra mission è riunire le persone davanti a una birra”.


La lista delle aziende woke punite dai consumatori è piuttosto lunga, dalla National Football League a Nike, Target e alla catena di fast food Chick-fil-A. Gli uffici marketing e pubblicità sono in subbuglio: anche questo a modo suo è un risveglio. Alquanto brusco: per anni l’indicazione delle grandi società di consulenza, prima fra tutte Accenture, è stata assecondare in ogni modo target lgbtq+ e wokeness. Si trattava di “mettere sotto una lente di ingrandimento i segnali deboli per stupire, meravigliare, essere i primi a raccontare comportamenti e atteggiamenti inediti”, ha spiegato Giuseppe Minoia, presidente onorario di GfK Eurisko. “Esiste la convinzione che ‘si vende’ di più e meglio ciò che è inedito, inesplorato, fuori dai canoni, sorprendente e shocking”. 

Contrordine compagni. Commentando la vicenda Bud Light, Nadine Sarwat, Wall Street Analyst dell’istituto Bernstein, osserva: “Non puoi muoverti più velocemente dei tuoi consumatori abituali. Mai dimenticare il tuo core customer. Ovviamente la campagna elettorale finisce per esacerbare l’attivismo dei consumatori: se comprare un prodotto significa essere intruppato in una causa che non è la mia, bene: non lo compro più”. Sarwat dice anche che spesso sono gli influencer (sempre loro!) a “schierare” i prodotti prima ancora che il management abbia il tempo di analizzare le strategie di marketing.  
Cogliendo l’attimo la società Tuttle Capital Management ha fondato la newsletter The Woke Street Journal e ha in programma di lanciare a breve l’Etf (Exchange Traded Fund) Get Woke, Go Broke. “Crediamo”, si spiega, “che le aziende politicamente neutrali dovrebbero sovraperformare rispetto a quelle che cercano di promuovere politiche”. I titoli del fondo saranno legati a gruppi che si concentrano solo su profitti e vendite lasciando perdere ogni tipo di messaggio: il vecchio caro mercato di sempre, a quanto pare.    

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