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Concorrenza uguale diritti. L'inaspettata lezione di "Fortnite"

Claudio Cerasa

Ringraziare per una volta il videogioco "incubo" di ogni genitore per la lezione di mercato mostrata ai nostri figli nella sfida epica vinta con Google

La concorrenza, che bellezza. Nei manuali di tecnologia globale, l’11 dicembre del 2023 verrà ricordato come un giorno storico per gli innovatori di tutto il mondo. La notizia storica coincide con una clamorosa sentenza arrivata lunedì mattina da una giuria federale di San Francisco che ha decretato la violazione da parte di Google delle leggi americane sulla libera concorrenza. La sentenza di primo grado arriva in seguito a una battaglia legale lanciata anni fa da Epic Games, una grande società partecipata da Sony e dai cinesi di Tencent che i genitori di tutto il mondo associano al nome di un videogioco da incubo: “Fortnite”.

 

La battaglia è cominciata nel 2020 quando “Fortnite” venne espulso dagli app store di Apple e Google Play a seguito di una decisione forte presa da Epic Games. In quell’anno, Epic Games accusò Apple e Google di avere introdotto commissioni eccessive all’interno dei propri negozi online (tu compri attraverso gli store e il ricavato va al 30 per cento a chi gestisce lo store) e decise di sviluppare un sistema alternativo per aggirare il monopolio di Apple e Google (Time ha calcolato che la spesa all’interno degli app store raggiungerà i 182 miliardi di dollari nel 2024 e i 207 miliardi di dollari nel 2025. Nel 2023, Google ha ottenuto  dalle vendite via app 10,3 miliardi dollari). In risposta alla mossa di Epic Games, Apple e Google eliminarono il più famoso prodotto di Epic Games (“Fortnite”) dai loro store. Epic Games, dal canto suo, scelse di aprire un negozio tutto suo con cui incassare direttamente senza passare dai due giganti della Silicon Valley.

 

Lawrence Koh, al tempo responsabile dello sviluppo commerciale della divisione videogiochi di Google Play, era talmente preoccupato dalla scelta di Epic Games che mesi dopo affermerà che l’assenza di Fortnite avrebbe causato una potenziale perdita diretta tra i 130 e i 250 milioni di dollari. E per questo, prima che Epic Games agisse in autonomia, propose in extremis un accordo milionario alla società (147 milioni di dollari nell’arco di tre anni). Il management di Epic Games, pur non navigando nell’oro (“Fortnite” conta oltre 230 milioni di giocatori in tutto il mondo, con picchi di utenti giornalieri pari a 34,3 milioni di persone nel 2022, fattura circa 5 miliardi di dollari all’anno, ma nonostante questo la casa madre, a causa di alcune acquisizioni sballate fatte nel passato, chiuderà in rosso anche il 2023) scelse di rifiutare l’offerta anche per dare alla sua battaglia culturale una cornice legale.

 

Dopo aver perso diverse cause legali con Apple, la sentenza di lunedì contro Google apre uno scenario nuovo che dovrebbe mettere di buon umore tutti coloro che hanno a cuore la tutela della concorrenza. Dal punto di vista tecnico, la giuria federale ha scoperto che Google ha un legame “coercitivo” tra il suo app store e i suoi servizi di fatturazione e che grazie a questo legame costringe gli sviluppatori a utilizzare la fatturazione di Google per far sì che le proprie app siano presenti sullo store di Google (Google Play).

 

Dal punto di vista culturale, la questione è più succosa e rappresenta una lezione anche per l’Europa. Le posizioni dominanti esistono, anche nel mercato privato, ma le regolamentazioni per governare queste posizioni devono avere un fine preciso. Non  mostrare i muscoli e punire il più forte che fattura più degli altri. Ma fare di tutto per abbattere le barriere all’ingresso, per incentivare l’investimento sull’innovazione e per non uccidere la creatività. Dove i mercati sono più liberi, c’è più possibilità di avere maggiore competizione. Dove vi è maggiore competizione, vi è più possibilità di avere maggiore innovazione. Dove vi è maggiore innovazione vi è più possibilità di avere più creatività, più opportunità e più consumatori al sicuro. E dove vi sono sistemi desiderosi di garantire i consumatori, quei sistemi fanno tutto il possibile per premiare le alternative di mercato, non investendo solo sulle carte bollate ma prima di tutto sulle alternative di mercato. La concorrenza, che bellezza.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.