analogie

Fratelli d'Italia, sul Superbonus come Fantozzi

Luciano Capone

La Commissione di inchiesta modello Filini è una boiata pazzesca. La destra, che ha sostenuto il bonus 110 per cento di Conte anche dall'opposizione, dovrebbe usare questa lezione per un'autocritica sulle sue teorie economiche

L’ultima trovata del partito di Giorgia Meloni è una commissione d’inchiesta sul Superbonus. “Troppe ombre sulla gestione della pandemia e miliardi di euro sperperati per il Superbonus. Il responsabile di tutto questo ha un nome e un cognome: Giuseppe Conte”. In genere le inchieste si fanno per individuare i colpevoli, in questo caso per giustificare le condanne già emesse dal partito.

 

Il comunicato di Fratelli d’Italia fa quasi ridere, se non fosse inquietante per l’idea persecutoria delle commissioni d’inchiesta contro le opposizioni. L’ideatore è l’onorevole Francesco Filini, braccio destro del sottosegretario a Palazzo Chigi Giovanbattista Fazzolari, di cui ha preso il posto come responsabile del Programma di FdI: “Il Superbonus, voluto e ancora difeso con pervicacia da Conte e dal M5s, non è stato altro che la più grande mangiatoia di ladri e truffatori della storia d’Italia”, dice il braccio destro del braccio destro della premier, che vuole fare emergere “tutte le responsabilità”.

 

L’idea, per chi ha criticato la logica folle del bonus edilizio al 110 per cento sin dal principio, è allettante. Finalmente verranno individuate tutte le responsabilità. Ma proprio per questo chi è al governo dovrebbe andarci cauto. Perché tutti i partiti di maggioranza hanno sostenuto il Superbonus, ne hanno chiesto la proroga e l’estensione, la dilatazione nel tempo e l’ampliamento nello spazio. Lega e Forza Italia che erano al governo, ma anche FdI che era all’opposizione.

 

Il partito di Meloni si opponeva a Mario Draghi che tentava di frenare il bonus. “FdI è favorevole al mantenimento del Superbonus – diceva il coordinatore del partito Giovanni Donzelli –. Mettere tetti, limiti e cavilli scoraggia le persone”. Oltre a Donzelli, che criticava il decreto Antifrodi di Draghi, Filini potrà audire Marco Osnato, attuale presidente della commissione Finanze al Senato di FdI, che sembrava impossessato dallo spirito di Conte: “Se oggi il presidente del Consiglio [Draghi] si vanta di un 6 per cento di aumento del pil, lo deve al Superbonus”.

 

Non potrà mancare un serrato esame della premier, che contianamente attaccava i tentativi di Draghi di arginare la voragine nei conti pubblici: “Il Superbonus è uno strumento molto utile per rilanciare l’economia – diceva Meloni – la semplificazione è la strada maestra da percorrere”. Via lacci e lacciuoli, insomma. I vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani non erano da meno. La Commissione d’inchiesta mostrerà quanto una delle misure più devastanti della storia repubblicana sia stata il frutto di una politica consociativa. Fatta sul serio, farebbe emergere – oltre a quelle indiscutibili di Conte e del Pd che, con Roberto Gualtieri, controllava il Mef – anche le responsabilità delle opposizioni che intervenivano solo per invitare a spendere di più (FdI, ad esempio, si batteva per estendere il Superbonus anche alle strutture ricettive alberghiere ed extralberghiere). 


Perché poi, alla fine, nonostante ora ci siano scontri feroci e volino parole avvelenate, sull’idea che si potesse spendere “gratuitamente” M5s e FdI l’hanno pensata a lungo allo stesso modo. Non sarebbe stato affatto strano trovare, qualche anno fa, in uno stesso convegno sulle teorie economiche “eterodosse” Riccardo Fraccaro, l’ideatore grillino del Superbonus, e Francesco Filini, il patriota fazzolariano che vuole processare il Superbonus. Entrambi, non a caso, erano favorevoli ai minibot e alla “moneta fiscale” ai tempi del governo Conte I. E cos’è stata la cessione illimitata dei crediti edilizi se non una moneta fiscale? 

 

Fraccaro, ex sottosegretario di Conte a Palazzo Chigi, è uno che organizzava a Trento incontri sulla Mmt (Modern monetary theory), teoria secondo la quale il deficit è solo un mito e i soldi basta stamparli (o farli emettere dal Tesoro). Filini è invece un seguace della “scuola auritiana”, una Mmt in salsa abruzzese, che prende il nome dal teramano Giacinto Auriti, che aveva elaborato una singolare idea della moneta, basata su una teoria del complotto sul signoraggio, e si era messo a stampare e far circolare una sua valuta (il Simec) in un paesino dell’Abruzzo. Fino a quando non fu fermato dalla Guardia di Finanza.

 

Ebbene, Filini sul tema ci ha scritto anche un libro: “Il segreto della moneta. Verso la rivoluzione auritiana”, nel quale scrive la storia della moneta da Aristotele a Karl Marx passando per Adam Smith e San Tommaso per dire che ora siamo a un bivio con due strade: “L’una rappresentata dall’euro e da Mario Draghi; l’altra rappresentata da Giacinto Auriti”. Inutile dire per chi batta il cuore di Filini, che sulla Bce aveva le idee chiarissime: “Truffa, falso in bilancio, usura, associazione a delinquere e istigazione al suicidio: i reati commessi dalla Bce per ogni euro emesso”, scriveva anni fa il dirigente di FdI su Twitter (dopo la vittoria delle elezioni del 2022 ha chiuso il profilo). Tra l’altro Auriti, padre intellettuale di Filini, è stato negli anni Novanta l’esperto consultato da Beppe Grillo, garante di Conte e Fraccaro, per gli spettacoli in cui il fondatore del M5s parlava di banche e moneta.

 

Anziché per una Commissione parlamentare, la destra potrebbe usare il disastro dei bonus per un congresso di partito: per fare autocritica su ciò che non ha fatto all’opposizione, sui propri riferimenti culturali ed economici. Perché sul Superbonus Meloni e Filini la pensavano come Conte e Fraccaro. La differenza è che se nel M5s che spendeva 100 miliardi a debito c’era furbizia, in FdI che era all’opposizione c’era stupidità, visto che ora Meloni si trova con una politica economica ipotecata dalle rate da 20 miliardi all’anno per pagare il Superbonus. Sarà difficile stabilire con una commissione d’inchiesta cosa sia più grave tra la furbizia e la stupidità. Ciò che è certo è che il conto di entrambe lo stanno pagando i contribuenti.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali