La Modern Monetary Theory non è una “teoria” e non è “moderna”

Alberto Bisin

Il deficit non è un mito e stampare moneta non è la bacchetta magica: perché la Mmt è solo un artificio retorico

E’ uscita la traduzione italiana del libro di Stephanie Kelton, “Il Mito del Deficit” (Fazi Editore). L’autrice è stata consulente economico di Bernie Sanders nel corso della sua campagna presidenziale del 2016. Il libro, che ha avuto un notevole successo negli Stati Uniti, ha due facce principali (oltre a rappresentare una memoria delle esperienze dell’autrice nell’attività politica): un’agenda degli obiettivi di politica economica della sinistra del Partito Democratico, una spiegazione della MMT (Modern Monetary Theory) come schema teorico di riferimento. L’agenda di politica economica è fondamentalmente una lista della spesa pubblica. Contiene di tutto: spesa per infrastrutture, istruzione, assicurazione sanitaria, sussidi alla disoccupazione. Nulla di assurdo o impossibile in una socialdemocrazia ma abbastanza rivoluzionario per gli Stati Uniti. Quel che è più interessante per un’agenda di questo tipo è che non si accenna assolutamente a una stima – nemmeno approssimata, magari per difetto – del costo di questi interventi, né si discute o si propone a come distribuirlo in termini di carico fiscale. All’autrice sembra sufficiente argomentare che gli interventi siano cosa buona e giusta. E infatti così è in un certo senso, perché il cuore teorico del libro, la MMT, nelle intenzioni dell’autrice agisce come supporto concettuale a una spesa pubblica essenzialmente illimitata (dirò di più a breve su quel “essenzialmente”), fornendo una giustificazione al finanziamento della spesa pubblica attraverso monetizzazione.

 

Il commento di Mariana Mazzucato nella presentazione del libro da parte della casa editrice è un’accurata sintesi, in due parole, della tesi della MMT: “La moneta non è scarsa” ed è errato associare “il bilancio di uno Stato a quello di una famiglia”. Entrambe le affermazioni sono assolutamente corrette, da un punto di vista logico:

i) la moneta può essere stampata da uno stato sovrano senza costi fisici di produzione (a costi minimi) e può essere usata da questo come finanziamento della spesa;

ii) per una famiglia, invece, questa fonte di finanziamento non è ovviamente una possibilità.

 

Pur essendo corrette, queste affermazioni non implicano ciò che la retorica della MMT (di Stephanie Kelton e, credo, di Mariana Mazzucato) sottende che esse implichino: che uno stato sovrano non abbia limiti al finanziamento del debito e quindi all’indebitamento stesso. Infatti, la moneta può essere stampata da uno stato sovrano senza costi fisici di produzione ma questo non significa che essa mantenga un valore costante, indipendente da quanta ne circoli nell’economia. E più perde valore, più ne dovrà essere stampata per finanziare la spesa, in una spirale potenzialmente senza fine. Anche per questo il bilancio di uno Stato non è quello di una famiglia. Vero quindi, come amano argomentare i sostenitori della MMT, che uno stato sovrano può sempre evitare di fare default, in linea di principio, mentre una famiglia può esservi costretta. Ma questo non è che un inutile gioco di parole: ripagare il proprio debito con moneta che ha perso valore può non essere default, da un punto di vista letterale, ma ha le stesse conseguenze per lo Stato: in anticipazione il debito emesso è carta straccia e nessuno vorrà detenerlo. Nulla di nuovo né di strano, il vincolo alla monetizzazione del debito è l’inflazione. E’ per questo che stati sovrani vicini a una crisi finanziaria o con cattiva reputazione emettono debito in valuta diversa da quella sovrana, per vincolare sé stessi a non monetizzare il debito ripagandolo con carta straccia, e quindi ottenendo così migliori condizioni in termini di tassi d’interesse. Fondamentalmente la MMT è tutta qui: non è una teoria, nel senso che non è un sistema di affermazioni logicamente coerente che ottenga conclusioni da una sistema di ipotesi ben specificato; è invece un sistema di affermazioni di per sé corrette che alludono a conclusioni desiderate senza implicarle logicamente, anzi fondamentalmente contraddittorie. La valenza di queste affermazioni è esclusivamente e puramente retorica. In una recensione del libro per una rivista accademica (il Journal of Economic Literature) ho cercato di fornire vari esempi della struttura retorica della MMT per come è rappresentata nel libro. La chiave di questa struttura retorica consiste nel minimizzare il vincolo inflazionistico – citandolo poco, male, en passant, come dato di fatto, senza mai integrarlo nell’analisi degli effetti della spesa pubblica che invece è presentata come potenzialmente illimitata. Il lettore più propenso ideologicamente ad accettare le conclusioni della MMT potrebbe argomentare (lo fa con grande passione polemica sui social media) che questa mia rappresentazione sia a sua volta ideologica, basandosi su un giudizio soggettivo di quanto poco o male il vincolo inflazionistico sia citato dall’autrice e di quanto poco esso sia integrato nella struttura della MMT. Potrebbe anche argomentare che ha ragione l’autrice a minimizzare il vincolo inflazionistico perché l’inflazione appare un fenomeno del passato, non più un vero vincolo alla politica monetaria dei paesi sviluppati che invece faticano a inflazionare quel po’ che vorrebbero. Sbaglierebbe. Provo a spiegarmi. Molti economisti – intendo economisti mainstream come Olivier Blanchard ad esempio – sostengono che oggi, per varie ragioni, un maggior debito pubblico negli Stati Uniti sia sostenibile (e quindi desiderabile) senza generare spinte inflazionistiche. Se questo fosse il punto della MMT non ci sarebbe bisogno di nessuna moderna teoria monetaria, quella vecchia tradizionale (mainstream) basterebbe e avanzerebbe. La questione di quanto spazio fiscale sia disponibile senza creare inflazione sarebbe una questione empirica, da risolvere e dibattere a suon di modelli econometrici. Ma no, MMT si presenta come “Teoria Monetaria Moderna”, appunto, in antitesi alla teoria tradizionale (mainstream); si guarda bene dal partecipare all’analisi empirica degli effetti inflazionistici della spesa pubblica che avviene giornalmente in accademia e nelle banche centrali di tutto il mondo. In quanto teoria monetaria antitetica, la MMT deve produrre una giustificazione concettuale all’esistenza di uno spazio fiscale illimitato per uno stato sovrano. E infatti questo fa, ma solo retoricamente. Poiché logicamente l’argomento non sta in piedi, lo spazio fiscale illimitato non esiste. Per questo ammette ma nasconde e non integra nell’analisi il vincolo inflazionistico alla spesa pubblica. Per questo l’operazione retorica della MMT ripresa nel libro di Stephanie Kelten è a mio avviso fondamentalmente disonesta da un punto di vista intellettuale. Sostenere un’agenda di politica economica che implichi un forte aumento della spesa pubblica è perfettamente possibile, con gli strumenti della teoria monetaria, senza inventarsi inutili e incoerenti nuove strutture concettuali, ma resta necessario argomentare che il finanziamento della spesa sia sostenibile. In buona sostanza, al di là di passi di danza retorici, il governo ha un vincolo di bilancio che può soddisfare con tasse oggi, tasse domani (debito), o inflazione (che è una tassa a sua volta). Questo è, di qui non si scappa.

   

Alberto Bisin
Economista, New York University