Mestre e non solo. Le tragedie in Italia colpiscono il potere della delega

Franco Debenedetti

Sapere tutto sarebbe impossibile e bloccherebbe ogni attività. Il funzionamento delle società, come quello delle pubbliche amministrazioni, si basa sul principio di delega, che richiede ordini chiari e responsabilità definite

La tragedia di Mestre, con 21 morti, passeggeri di un bus che ha sfondato le barriere del viadotto che passava lungo la ferrovia è solo una delle tante stragi che vedono implicati degli autobus. La mente va a quanto avvenuto dieci anni fa, il 28 luglio 2013, in provincia di Avellino, quando un autobus finiva una discesa piombando senza freni sulla barriera, sfondandola e precipitando dal viadotto di Acqualonga: morirono 40 persone. Le indagini sono solo all’inizio. Già circolano in rete foto di barriere basse e arrugginite, stranamente interrotte, nel punto della fuoriuscita, per circa 2 metri. La tragedia di Avellino avrebbe dovuto insegnare qualcosa o è un fatto totalmente differente? Quel viadotto aveva visto appena 4 anni prima, nel 2009, un completo intervento di ristrutturazione.

 

Chi ha passato un terzo della sua vita a lavorare in società per azioni, dalle piccole alle massime nazionali, con incarichi sia operativi sia consiliari, è interessato in primo luogo ai meccanismi di interazione e di ripartizione di responsabilità tra vertice della azienda (consigli di amministrazione e amministratori delegati) e strutture operative sul territorio. Cioè la catena delle deleghe attraverso la quale le decisioni strategiche apicali si traducono, scendendo di livello in livello, in attività operative periferiche. Nel caso di Mestre, la delega inizia con il voto degli elettori, e continua per i vari livelli previsti per la Pubblica amministrazione. Nel caso di Acqualonga il primo anello della catena è il consiglio di amministrazione, che, su proposta dell’amministratore delegato Giovanni Castellucci, aveva deliberato cinque anni prima di procedere, per i 2.200 chilometri di autostrade, all’elevazione degli standard delle barriere di contenimento al massimo livello di resistenza, stanziando la somma di 138 milioni di euro, e attribuendo al direttore operativo i poteri di committente per l’esecuzione del piano.

 

La catena delle deleghe prosegue con la nomina, da parte del committente, del Rup (Responsabile Unico del Procedimento), e gli incarichi al progettista, al direttore dei lavori e agli esecutori dell’opera. È il progettista, non il consiglio di amministrazione, a essere responsabile che il progetto sia rispondente ai requisiti di legge e alle richieste del committente. È il direttore dei lavori che ha il compito di controllare l’opera dell’esecutore. Nella barriera del viadotto di Acqualonga, che era già ai massi i livelli di contenimento, a cedere furono pochi bulloni non visibili, corrosi dalle soluzioni antigelo portate da rivoli d’acqua piovana nel manto stradale, che non furono individuati dal progettista che quindi non ne dispose la sostituzione pur avendo ricevuto dal committente ampia delega di spesa.

 

Il funzionamento delle società, come quello delle pubbliche amministrazioni, si basa sul principio di delega. Questo richiede che gli ordini siano chiari, le responsabilità definite, filtrate a monte le informazioni su fatti che si discostano ed in maniera significativa da quanto previsto. Sapere tutto, oltre che essere una pretesa impossibile, darebbe luogo all’inazione e al blocco di ogni attività. Come c’è la mappa e il territorio, il verum e il factum, così c’è la strategia e l’esecuzione. Ad Avellino, che cosa doveva seguire allo stanziamento di 138 milioni per l’elevazione della sicurezza delle barriere? Chi doveva decidere come accertarsi dello stato di ogni singolo metro di quei 2.200 chilometri? Chi doveva istruire l’operaio che avrebbe dovuto esaminare per conto del progettista la base del new-jersey e che avrebbe potuto vedere i bulloni corrosi se li avesse smontati correttamente?

 

Ci sono materie, e la sicurezza è una di queste, in cui chi è delegato ha spesso poteri superiori a quelli di chi delega. La catena delle deleghe era indispensabile in un gruppo come Atlantia titolare di 53 concessioni autostradali e di gestore di 5 aeroporti. Indispensabile lo era a Mestre: per il funzionamento della Pa, la delega è intrinseca al processo democratico che elegge i responsabili apicali, conferendo loro il potere di designare la struttura organizzativa. Senza deleghe non ci sarebbero grandi aziende, perché un’azienda non diventa grande se non risolve bene il problema della delega. E questo ha implicazioni rilevanti: perché la bassa crescita della nostra produttività è generalmente ricondotta alla modesta dimensione di una percentuale elevata delle nostre aziende. E a sua volta questo viene spiegato con la riluttanza a dare una risposta soddisfacente al problema della delega: quando un piccolo imprenditore preferisce mettere a capo della sua azienda il figlio o un parente stretto piuttosto che assumere un laureato di cui non si fida, tanto più se è portatore di una cultura che non capisce. E poi ci stupiamo se le piccole aziende familiari sono meno innovative.

Di più su questi argomenti: