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il commento

In quale lega europea vuole giocare il governo che tassa le banche, con l'Ungheria o con la Germania?

Stefano Cingolani

Giorgia Meloni e i suoi ministri introducono una tassazione che esiste in soli tre paesi dell'Ue, minando la credibilità dell'Italia. La situazione della nostra economia è delicata: sarebbe bene evitare ogni misura che possa peggiorare la congiuntura

Perché? Il giorno dopo non solo tra gli esperti, gli economisti, gli operatori di borsa, ma anche tra chi non ha perso la bussola del buon senso, fioccano i perché. Perché il blitz sugli extraprofitti delle banche, perché adesso, perché così. Una spiegazione da antropologia politica è che son tornati gli “acchiappa bankster”. Gira e rigira, dopo mesi passati a sedare e rassicurare, dopo l’illusione post draghiana e post democristiana, cautela, prudenza, realismo, poi hanno ceduto il passo al riflesso condizionato. Chi pensava che fosse ormai un penoso ricordo quella coalizione populista di destra e di sinistra, quella della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle crisi bancarie (e sulla Banca d’Italia), quella che vedeva a braccetto leghisti, grillini, Fratelli d’Italia (pur di piccole dimensioni a quel tempo) e i cespugli della sinistra radicale, ebbene chi aveva tirato un sospiro di sollievo, si era sbagliato. Non solo: questa volta s’accoda il Pd targato Elly Schlein. 

Parole, opere e omissioni di Matteo Salvini dimostrano le proclamate intenzioni: le banche “hanno fatto miliardi senza muovere un dito”. Il ministro dei Trasporti ha conquistato la scena e ha parlato al posto del ministro dell’Economia il quale avrebbe dovuto spiegare la logica, la natura, le conseguenze della stangata. “Il ruolo di Giorgetti resta ambiguo”, ha scritto il Financial Times. Per placare la tempesta sui mercati si è messa una toppa ridimensionando la portata del provvedimento. In realtà non si tratta di colpire i profitti, ma la differenza tra i tassi richiesti dalle banche a chi vuole un prestito e quelli pagati alla clientela nel biennio 2021-2023. L’imposta ha un’aliquota del 40 per cento per le differenze che eccedono il 3 e il 6 per cento nei due periodi 2021-2022 e 2022-2023. In ogni caso non dovrebbe superare lo 0,1 per cento dell’attivo totale. E sarà una tantum. Secondo l’agenzia Radiocor le prime sei banche italiane subirebbero un salasso da 2,47 miliardi solo sui conti del primo semestre 2023, cifra che scenderebbe a 1,55 miliardi se per Intesa Sanpaolo e Unicredit si considerassero soltanto i numeri delle attività commerciali italiane. I conti veri si faranno quando si conosceranno i dettagli, in ogni caso sono lontani dai 5 miliardi annunciati e non sarebbero comunque sufficienti per aiutare chi ha mutui a tasso variabile e a finanziare nello stesso tempo la riduzione delle imposte (servono 4 miliardi per ridurre l’Irpef e 9 miliardi per il cuneo fiscale).

Ieri i titoli bancari che martedì avevano perso 9,5 miliardi di euro si sono parzialmente ripresi. E’ stata una tempesta in un bicchier d’acqua? Non esattamente. L’economia italiana è in netta discesa. Nel secondo trimestre il prodotto lordo ha fatto registrare un meno 0,3 per cento, la domanda aggregata si sta contraendo, le richieste di prestiti e mutui si sono ridotte del 21 e del 22 per cento nel primo semestre, è il momento di evitare ogni misura che peggiori la congiuntura. La Bce invita a rafforzare il capitale consapevole che l’aumento dei tassi sta raffreddando la crescita più dell’inflazione. Il vice presidente Luis de Guindos, illustrando il 2 di questo mese il risultato dell’ultimo stress test, spiega che nello scenario avverso, cioè se l’inflazione resta alta e persistente, i valori del mercato immobiliare scendono e sorgono tensioni nei mercati finanziari e in quelli del debito sovrano, diverse banche dovranno aumentare il capitale. Si raccomanda dunque di non rendere più fragile il sistema creditizio. A essere colpito è il margine d’interesse, un errore grossolano secondo Francesco Giavazzi: la tassa non tocca le commissioni che si pagano per fondi e polizze che pure contribuiscono in modo importante agli utili e sono un costo per i risparmiatori, inoltre c’è il rischio che diventi meno conveniente investire in Btp (titoli di stato per oltre 700 miliardi sono nei portafogli delle banche e delle assicurazioni). “Un autogol” sentenzia l’economista. Giorgetti avrà fatto la Bocconi, ma Giavazzi lo boccia. Ci sono o no questi extraprofitti? Giuseppe Conte giura che ci sono e non s’accontenta, adesso tocca alle assicurazioni, poi all’industria farmaceutica e via di questo passo. Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Société Générale, nega che le banche abbiano guadagnato più di altri settori. Allora perché una tassa ad hoc se non per un intento punitivo che solleva “dubbi di costituzionalità”?

L’imposta esiste anche in altri paesi, si dice. Ma quali? La Spagna socialista (ancora per poco perché il Partito popolare vorrebbe abolirla), l’Ungheria orbaniana, la Repubblica ceca e la Lituania. E’ in questa lega che vuol giocare il secondo paese  manifatturiero e il terzo prodotto lordo dell’Unione europea? Non in quella della Germania o della Francia dove per Emmanuel Macron la destra ha calato la maschera. Il Financial Times scrive che la mossa anti banche mina la credibilità dell’Italia e cita i segnali di una vera e propria levata di scudi contro finanza e industria. C’è la proposta di un commissario governativo per controllare e gestire gli investimenti esteri superiori a un miliardo di euro, c’è una estensione del golden power per bloccare i trasferimenti di prodotti e servizi tecnologici (e non solo verso la Cina), c’è la presa sulle aziende di stato. Lorenzo Codogno della London School of Economics parla di “stile sovietico”. E’ la stessa Giorgia Meloni, applaudita dall’Assolombarda, che un mese fa ringraziava le imprese per “il miracolo italiano”?

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