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L'analisi

Il calo dei prestiti alle imprese non è un buon motivo per colpire la Bce 

Mariarosaria Marchesano

I dati, rilevati dal rapporto sul credito bancario sul crollo della domanda di prestiti, sono sintomo di una politica monetaria che fa sentire i suoi effetti. Diversamente solo una recessione potrebbe impedire a Lagarde di aumentare ancora i tassi in autunno

Se la Bce stesse cercando un segnale di efficacia della sua politica monetaria per decidere come regolarsi sulle prossime mosse (si riunisce giovedì) lo potrebbe trovare nel calo del 42 per cento registrato dalle domande dei prestiti alle imprese nell’Eurozona nel secondo trimestre 2023. E’ la stessa Banca centrale europea a segnalare nel suo consueto rapporto sul credito bancario come i finanziamenti alle attività economiche siano precipitati ai minimi dal 2003 per effetto dell’aumento dei tassi d’interesse in modo forse anche più intenso rispetto alle attese. A crollare in particolare è la domanda di prestiti alle piccole e medie imprese (meno 40 per cento) mentre per le aziende di maggiori dimensioni (meno 34 per cento) il calo è al di sopra di quello registrato durante la grande crisi finanziaria globale. Questi dati si possono prestare a due interpretazioni.

La prima, più ottimistica, è che il prossimo rialzo dei tassi (25 punti base che porterà il tasso ufficiale di deposito al 3,75 per cento) sarà anche l’ultimo proprio in considerazione del fatto che la politica monetaria della Bce sta cominciando a far sentire i suoi effetti in modo tangibile: se le imprese non chiedono più prestiti alle banche, l’economia si raffredda e di conseguenza anche l’inflazione si abbassa, i prezzi tornano sotto controllo e si può guardare con fiducia a un nuovo ciclo espansivo.

Per la verità, la teoria dell’ultimo rialzo di luglio è molto diffusa tra gli investitori ma più per la Fed negli Stati Uniti che per la Bce in Europa, dove il picco dei tassi viene visto comunque non prima di settembre dalla maggior parte degli analisti. La seconda interpretazione vuole che il crollo dei prestiti alle imprese non sia abbastanza per convincere la Banca centrale di Christine Lagarde a fermarsi. In altre parole, solo una recessione potrebbe impedire a Lagarde di aumentare ancora i tassi in autunno. E di recessione neanche a parlarne, a giudicare dalle nuove stime del Fondo monetario internazionale che ha addirittura rivisto al rialzo la crescita dell’Eurozona sia per quest’anno (dallo 0,8 allo 0,9 per cento) che per il prossimo ( dall’1,4 all’1,5 per cento). In questo quadro l’Italia fa, ancora una volta, meglio di Francia e Germania con una crescita che il Fondo rivede al rialzo all’1,1 per cento nel 2023 per poi rallentare nel 2024 (0,9 per cento). Buonissime notizie, naturalmente, che però indurranno probabilmente la Bce a mantenere elevati i tassi più a lungo.