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L'analisi

“La Bce terrà alti i tassi per rimediare a un errore”. Parla Bruni

Mariarosaria Marchesano

Le manovre aggressive di oggi sono frutto di una sottovalutazione, ci dice l'economista dell’Università Bocconi e vice presidente dell’Ispi: "Le banche centrali devono tornare a fare il loro mestiere, che non è quello di stimolare l’economia mantenendo in eterno i tassi a zero"

Di fronte al peggioramento dei dati economici dell’Eurozona, c’è chi comincia a ipotizzare la fine della stretta monetaria a settembre. “Ma probabilmente non sarà così”, dice al Foglio Franco Bruni, economista dell’Università Bocconi e vice presidente dell’Ispi. Per Bruni la Bce, che si riunisce giovedì, farà il necessario per riportare l’inflazione al 2 per cento perché si è resa conto “dell’enorme ritardo” con cui ha avviato l’aumento dei tassi un anno fa. “C’è stato un grave e colpevole errore di sottovalutazione da parte delle banche centrali su entrambe le sponde dell’Atlantico che le ha poi costrette a manovre particolarmente aggressive”. Bruni è tra i critici più severi delle recenti politiche di Bce e Fed e ha messo tutto nel suo ultimo libro “Oltre le Colonne d’Ercole”, che presenterà a Milano con il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. “Non è detto che la pensiamo allo stesso modo – puntualizza – ma siamo d’accordo che è un punto su cui vale la pena riflettere per evitare di ricaderci in futuro. Le banche centrali devono tornare a fare il loro mestiere, cioè garantire la stabilità finanziaria e quella dei prezzi, mentre per un po’ è sembrato che la politica monetaria dovesse svolgere un compito che è contro la sua natura: stimolare l’economia mantenendo in eterno i tassi a zero o diventando per periodi troppo lunghi il principale acquirente del debito dei paesi membri. Ebbene, penso che sia una strada sbagliata. E’ fondamentale, invece, che la Bce si riappropri della sua missione originale mentre la politica europea, quella sì che dovrebbe fare passi in avanti cercando la coesione necessaria per aumentare la spesa  comune in campi come le infrastrutture, la sanità e l’emergenza climatica”. 

Pensa che con due paesi come la Spagna, che rischia l’ingovernabilità dopo le ultime elezioni, e la Germania, che  arretra  dal punto di vista economico, sia possibile trovare questa coesione? “E’ uno sforzo necessario – prosegue – E mi pare che la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, stia lanciando segnali in questa direzione in vista delle elezioni al Parlamento europeo. Il risultato  spagnolo è molto positivo considerato che una vittoria dell’estrema destra avrebbe potuto creare un problema europeo. Invece, credo che questo risultato favorirà la convergenza verso il centro. E’ un equilibrio al quale dovrebbe tendere anche l’Europa per potere assumere decisioni importanti per il suo futuro”. Per Bruni è più preoccupante il rallentamento tedesco perché è la spia di un paese spaccato in due: “Da un lato la Germania è moderna ed economicamente  forte, dall’altro è ostaggio del conservatorismo provinciale dei Lander che ne ostacola lo sviluppo in chiave europea. Credo che qui la recessione sia inevitabile ed è qualcosa che può colpire anche il nostro sistema manifatturiero”. Ma l’Italia rispetto a qualche anno fa appare politicamente più stabile ed economicamente più forte. “Tendo a essere un po’ più pessimista: la destra si è fatta apprezzare per una politica fiscale oculata, ma temo che la manovra economica di quest’anno debba essere aggiustata perché le casse del Tesoro piangono ed è aumentato in modo visibile il costo del debito. In più il Pnrr non sta funzionando come dovrebbe anche perché la spesa del piano viene spesso confusa con il normale fabbisogno di cassa. Un gioco equivoco che bisognerebbe evitare adottando due contabilità separate”. Ma cosa c’entra tutto questo con la Bce? “Se si riuscisse ad avere una spesa  comune, almeno su alcuni grandi filoni, si smetterebbe di guardare alla Bce come l’istituzione da cui dipendono le sorti economiche dell’Europa. Di conseguenza, l’aumento dei tassi sarebbe vissuto per quello che è: un modo per abbassare l’inflazione”. Il che è esattamente ciò che farà la Bce che si prepara a un nuovo rialzo del costo del denaro che porterà il tasso ufficiale di deposito al 3,75 per cento con previsioni di avvicinarsi al 4 per cento a settembre. Ma quando ci sarà la fine? “E’ difficile per la Bce in questa fase rendere, come dovrebbe, prevedibile la sua politica monetaria. Potrà farlo solo dopo che avrà rimediato al suo errore di valutazione”.