L'analisi
Perché la rivoluzione delle Zes, al sud, è un'illusione per le imprese
La proposta del ministro Fitto rischia di non essere realizzata a causa dell'impossibilità oggettiva e normativa per la Commissione Europea di autorizzare agevolazioni fiscali permanenti sull'intero Mezzogiorno
L’idea di trasformare l’intero Mezzogiorno d’Italia in un’unica grande Zona Economica Speciale, a bassa fiscalità e burocrazia ridotta, come proposto dal ministro Raffaele Fitto alla Commissione Europea, appare tanto suggestiva quanto entusiasmante, ma rischia di essere l’ennesima illusione per il Sud e il suo tessuto produttivo e industriale. Il rischio nasce sia dalla impossibilità oggettiva e normativa per la Commissione Europea di autorizzare agevolazioni fiscali permanenti sull’intero territorio del Sud Italia, sia dalla stessa logica delle Zes, immaginate per essere una “deroga” o una “eccezione” alle regole generali, non una regola esse stesse. Un po’ di inquadramento della vicenda può servire a capire. In Italia esistono oggi 8 zone economiche speciali, composte da aree industriali a ridosso o funzionalmente collegati ad altrettanti porti del Sud, in virtù di una legge istitutiva del 2017 fortemente voluta dall’allora ministro per il Sud Claudio De Vincenti per replicare il modello di successo delle Zes polacche. Dopo un avvio stentato, con il governo Draghi c’è stata un’accelerazione, grazie allo stanziamento di fondi Pnrr e a una riforma della governance promossa dal ministro Mara Carfagna, in primis con l’introduzione di un’autorizzazione unica per gli investimenti privati rilasciata alle aziende richiedenti dai commissari delle singole Zes e poi con l’effettiva nomina di tutti gli 8 commissari e dei loro staff. Dotati di strutture esigue e di pochi fondi, i commissari hanno iniziato a lavorare e il mondo si è accorto delle Zes italiane. Non sono la panacea dei problemi di produttività e attrattività del Mezzogiorno, ma permettono vantaggi fiscali e velocità decisionale a volte sconosciuta a queste latitudini, incentivando la nascita di veri distretti industriali la cui stessa esistenza può fare da volano per nuovi investimenti. Un esempio virtuoso da coltivare e da trasformare in buone pratiche per il complesso della macchina amministrativa delle regioni e degli enti locali, tanto che sono fiorite nel corso del tempo le aspettative delle regioni del Centro Nord di avere anche loro delle zone economiche speciali.
Tuttavia, la disciplina europea sugli aiuti di stato prevede che solo in porzioni molto limitate delle regioni meno sviluppate (le 8 regioni del Sud continentale e insulare) sia possibile prevedere incentivi fiscali. Ciò ha lasciato al Centro-Nord solo la possibilità di chiedere al governo l’istituzione di “Zes light”, chiamate Zone logistiche speciali (Zls), come quella nata a Genova, che gode delle sole semplificazioni burocratiche. La disciplina europea rende anche impossibile estendere all’intero territorio del Mezzogiorno le agevolazioni fiscali, come ha già fatto capire la commissaria Margarethe Verstager sottolineando che la proposta di Fitto “dovrebbe essere concepita in linea con le norme sugli aiuti di Stato”. Tradotto dal brusellese, significa che l’Italia può senza dubbio applicare all’intero Mezzogiorno lo snellimento burocratico previsto per le Zes, ma non le agevolazioni fiscali. Detto ciò, anche limitando gli strumenti dell’eventuale Zes unica all’abbattimento della burocrazia per gli investimenti, una cosa è avere un commissario che emette l’autorizzazione unica per gli investimenti produttivi realizzati all’interno di piccoli agglomerati, altra cosa è mettere in piedi un’amministrazione capace di sostituirsi a tutti i Comuni del Sud e ai loro sportelli per le attività produttive, alle Regioni e a tutti gli enti responsabili di pareri e autorizzazioni per l’apertura di uno stabilimento produttivo dovunque sul territorio meridionale. Per capirci, l’intera Zes Campania, che è la più grande delle 8 esistenti, insiste su appena 5154 ettari, poco più della dimensione di Ischia e Procida. Il ministro Fitto ha quindi presente l’impresa titanica che ha appena annunciato di voler realizzare? Non sarebbe forse più opportuno lavorare per irrobustire le attuali Zes, investendo su una loro maggiore infrastrutturazione, coordinandole meglio, favorendo per ognuna di essa una vocazione merceologica e facendone magari luoghi dove sperimentare buone pratiche (ad esempio di innovazione digitale o forme di arbitrato che evitino il ricorso ai tribunali) da applicare poi nel resto del Sud? Il rischio della Zes unica proposta da Fitto è archiviare un modello certo fragile e migliorabile, le attuali Zes, per sostituirlo con una “promessa” ambiziosa ma irrealizzabile. Si getterebbe il bambino con l’acqua sporca, vanificando il buon lavoro fatto finora, illudendo cittadini e imprese e aprendo l’ennesimo fronte polemico con l’Unione Europea, a cui addebitare poi la responsabilità dei No ricevuti.