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Economia di governo

Il Sud zona economica speciale è una rivoluzione. Ma occhio alle rendite

Nicola Rossi

A oggi sono state istituite otto Zes nel Meridione. Perché serve trovare le opportune modalità perché avvertano il peso della concorrenza fra le aree nella attrazione e localizzazione di investimenti

La scelta del governo italiano di fare dell’intero Mezzogiorno una “zona economica speciale” e la disponibilità della Commissione europea a valutare la proposta italiana rappresentano una novità di cui sarebbe difficile sottovalutare l’importanza. Rispetto alle scelte dell'ultimo quarto di secolo, esse pongono, con un’assoluta chiarezza, il tema dell'intero Mezzogiorno come area complessivamente in ritardo di sviluppo e superano la narrativa dei “tanti Mezzogiorni” che di fatto ha funzionato nelle ultime decadi come un potente anestetico, contribuendo a nascondere la realtà di un'area nel suo complesso sempre più lontana dagli standard europei (come praticamente ogni indicatore rilevante ci ricorda). Per memoria: le zone economiche speciali (Zes) sono aree nelle quali le imprese insediate beneficiano di vantaggi specifici e, in particolare, di semplificazioni amministrative (tali da determinare riduzioni fino ad un terzo dei termini di conclusione dei procedimenti) e agevolazioni fiscali (sotto forma di abbattimenti significativi dell’aliquota ordinaria IRES e di crediti di imposta per l’acquisto di beni strumentali, terreni e immobili).

A oggi ne sono state istituite otto, all’interno delle regioni meridionali. Naturalmente, le specifiche modalità con cui l'ipotesi di una Zes unica sarà in pratica declinata faranno, inevitabilmente, la differenza. E’ lecito presumere, ad esempio, che questo nuovo e diverso approccio debba comportare una centralizzazione della governance che non sia distonica rispetto alla agilità e snellezza che dovrebbe caratterizzare le Zes. Ciò, a sua volta, implicherà trovare un punto di equilibrio fra l’unicità di indirizzo della Zes unica e la necessità di tenere conto della diversificata natura del tessuto produttivo locale. Di più: aver offerto a tutte le aree meridionali le opportunità implicite nella logica della Zes e avendole poste, quindi, su un piano di parità comporterà trovare le opportune modalità perché avvertano il peso della concorrenza fra le aree nella attrazione e localizzazione di investimenti. Sarà importante accompagnare quelle informazioni con indicatori puntuali circa la capacità delle diverse aree di dare risposte tempestive ed esaustive. Chi non sarà in grado di mettersi al passo con le possibilità offerte dalla nuova strategia dovrebbe sapere che la cosa non sarà priva di conseguenze. E chi invece sarà in grado di farlo dovrebbe vederlo riconosciuto. Così come, in presenza di prospettici insediamenti di imprese esterne al Mezzogiorno, sarebbe opportuno sollecitare la concorrenza fra le aree diverse. Diversamente dalla vuota retorica dell'ultimo quarto di secolo, l'ipotesi della Zes unica potrebbe essere realmente la chiave di volta perché nascano davvero "tanti Mezzogiorni" ma in un Mezzogiorno diverso, che si abitui a ragionare in termini anche di concorrenza fra aree.

E' lecito presumere che nella nuova strategia la connessione con la cosiddetta "doppia transizione" e quindi con il tema della innovazione sia esplicita. Su questo punto, sarebbe importante che i contenuti della Zes unica non risentano della attitudine “statica” del dibattito italiano sul tema. Della nostra abitudine a misurare tutto con il metro di “quante sono le piccole imprese e quante le medie o le grandi”. Una impostazione in buona parte fuorviante che discende dal nostro pregiudizio circa il fatto che l'innovazione si faccia nei laboratori delle grandi imprese. Il canale principale di generazione dell'innovazione in una qualunque economia di mercato è dato dalla nascita di nuove imprese e dalla loro dinamica: dal fatto che le imprese appena nate riescano a sopravvivere, che le piccole diventino medie, che le medie si irrobustiscano ulteriormente, che nel processo alcune spariscano ed escano dal mercato. Ora, proprio sotto questo profilo il ritardo del Mezzogiorno è serio e molto preoccupante. I tassi di imprenditorialità sono più bassi della media nazionale che a sua volta è molto più bassa delle medie corrispondenti dei nostri partner principali. Il sistema di incentivi attualmente presente è in buona misura ritagliato per le imprese in essere e non già per quelle che potrebbero domani affacciarsi sul mercato. Sarà necessario invertire la rotta non solo nel disegno complessivo delle politiche per il Mezzogiorno ma anche nei suoi dettagli. Governi di tutti i colori hanno condiviso, nel corso degli ultimi venticinque anni, la logica e i contenuti di politiche regionali che sarebbe eufemistico definire fallimentari. La scelta della Zes unica rappresenta una inversione di tendenza significativa e una novità potenzialmente di grande importanza purché la sua portata innovativa non venga annacquata nel momento in cui se ne definiranno i dettagli. E il governo si prepari: le tante posizioni di rendita generate dalle politiche regionali dell’ultimo quarto di secolo non abbandoneranno il campo facilmente.

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