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l'editoriale del direttore

Perché le imprese hanno ottime ragioni per ribellarsi all'ideologia ambientalista dell'Ue

Claudio Cerasa

Gli ambiziosi obiettivi ambientali di Bruxelles stanno intaccando la competitività delle imprese manifatturiere. L’accusa del numero uno di Assolombarda e i sensi di colpa che non fanno bene all'Europa

Si può essere ultra europeisti ed essere allo stesso tempo furibondi con l’Europa? Si può essere ultra ambientalisti ed essere allo stesso tempo indignati per l’ambientalismo dell’Europa? E si può essere anti populisti ed essere allo stesso tempo d’accordo con le battaglie industriali combattute in Europa dai vecchi teorici del populismo? Alessandro Spada è il presidente di Assolombarda, l’unione delle imprese che operano nelle province di Milano, Lodi, Monza e della Brianza, Pavia, e all’inizio di questa settimana la sua associazione ha fatto notizia per aver offerto alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni l’occasione di confrontarsi, anche con un certo successo, con una delle realtà industriali più importanti d’Italia. Meloni ha fatto notizia, e questo lo sappiamo, ma tra gli elementi che avrebbero dovuto catturare l’attenzione degli osservatori ve ne sono alcuni contenuti nella relazione di Spada, che fotografano con chiarezza un fenomeno importante che sta maturando in Europa, nel suo tessuto industriale, e che, a proposito di testamenti, costituisce un lascito politico particolarmente negativo dell’attuale Commissione europea. Il tema è presto detto e riguarda un argomento solo apparentemente astratto: “L’Unione europea con i suoi ambiziosi obiettivi ambientali sta forzatamente intaccando la competitività delle imprese manifatturiere europee. E quello che è del tutto irragionevole è l’accelerazione ambientale impressa dalla Commissione europea che, con questi tempi e modalità, sta dimostrando di voler scaricare sulle imprese i costi della transizione ecologica”.

L’accusa del numero uno di Assolombarda è ben calibrata e presenta una serie di capi di imputazione che merita di essere riportata nel dettaglio. Punto numero uno: l’Europa è l’unica tra le grandi aree del pianeta ad aver vietato dal 2035 la produzione di auto a combustione interna e per ridurre le emissioni ha scelto di puntare tutto sull’elettrico anziché farlo attraverso l’uso anche di altri combustibili come biocarburanti, carburanti sintetici e idrogeno, di cui proprio il nostro territorio è attore all’avanguardia. Punto numero due: se l’Europa fosse davvero costretta a rinunciare a parte della sua produzione di acciaio, settore in cui eccelle il nostro paese con le più moderne tecnologie con ridotte emissioni, e se tale produzione si trasferisse in Cina ci troveremmo, dice Spada, nella condizione di “esportare lavoratori e di importare CO2”. Punto numero tre: se gli obiettivi di abbattimento delle emissioni inquinanti, obiettivi sacrosanti, fossero coerenti con le direttive su questo tema della Commissione per una regione come la Lombardia significherebbe dover eliminare almeno il 75 per cento delle attività industriali. Il ragionamento del numero uno di Assolombarda è utile da mettere a fuoco perché consente di ragionare su una questione cruciale della deriva ideologica assunta dall’Unione europea sui temi ambientali. La deriva, dice Spada, nasce da un ingiustificato senso di colpa dell’Europa, su questi temi; senso di colpa che non tiene conto degli incredibili risultati positivi messi a segno in questi anni dall’Ue sul fronte della difesa dell’ambiente.


Secondo l’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite, infatti, che tiene conto delle pressioni esercitate sul pianeta da ogni singola nazione, l’Italia figura terza al mondo dopo Regno Unito e Spagna, e tra i paesi che producono basse emissioni di CO2 sette sui primi dieci in classifica, tra cui anche Germania e Francia oltre all’Italia, appartengono all’Unione europea. Nasce da un atteggiamento ideologico “sbagliato alla radice”, che impone sulla base di postulati ideologici tecnologie e fonti da usare o da escludere, sabotando completamente il principio di neutralità tecnologica (suggerimento di Assolombarda: puntare sul nucleare pulito e sicuro di ultima generazione). E indica come sbocco naturale per risolvere questo cortocircuito non un sabotaggio dell’Europa a colpi di iniezioni di populismo (il nemico pubblico numero uno delle industrie europee è, neanche a dirlo, il vicepresidente della Commissione europea e responsabile per il Green deal, il socialista Frans Timmermans) ma al contrario una ventata di nuovo europeismo capace di tutelare gli interessi non di una singola nazione ma di un intero continente (Assolombarda, come Confindustria, suggerisce la creazione di un fondo sovrano comunitario basato sulla emissione di Eurobond). Il borbottio anti europeo delle europeissime industrie italiane è lì a indicare un doppio tema. Indica un’opportunità enorme per il centrodestra italiano, che cavalcando questo filone potrebbe riuscire a rappresentare anche alle europee un pezzo di paese trasversale, produttivo, non naturalmente attratto dall’agenda sovranista. E indica, allo stesso tempo, un problema enorme per il centrosinistra europeo. Un problema che coincide con la scelta da compiere di fronte a un bivio: continuare ad assecondare la retorica ideologica degli ambientalisti nemici dell’Europa o trovare una nuova via per non regalare la battaglia del futuro ai professionisti della nostalgia. La sfida è complicata, tosta, appassionante, ma è la sfida dei prossimi mesi. In ballo non c’è il destino di un’azienda, come per il testamento del Cav., bensì il destino delle imprese europee. Conviene scegliere in fretta da che parte stare, prima di regalare ai vecchi populisti la difesa esclusiva del nuovo partito del pil.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.