l'analisi

Il solito Mes. La strategia di Meloni è su un binario morto

Luciano Capone

Il governo si è infilato in un vicolo cieco, con l'uso del veto sulla riforma del Trattato non otterrà nulla. La relazione annuale di Gramegna spiega l'urgenza della ratifica per mettere in sicurezza il sistema bancario con il backstop

La strategia del governo Meloni sul Mes si trova su un binario morto. L’idea – sostenuta dalla presidente del Consiglio e anche da settori importanti dell’economia come la Confindustria – di usare la ratifica del nuovo trattato del Fondo salva stati come moneta di scambio su altri tavoli come la riforma del Patto di stabilità non ha alcuna possibilità di riuscita. Questo lo hanno fatto capire chiaramente i ministri dell’Economia europei sia all’Eurogruppo sia all’Ecofin. Non ci sono margini, soprattutto per il metodo utilizzato, quello dell’uso ricattatorio del veto che infastidisce tutti gli altri paesi che hanno già ratificato.

 

L’unico assist, che è più che altro l’offerta di una via d’uscita, all’Italia l’ha offerta il direttore esecutivo del Mes, Pierre Gramegna, che ha parlato genericamente di una “revisione” degli strumenti all’interno del nuovo trattato. Naturalmente non si tratta nulla che abbia a che fare con la proposta di Giorgia Meloni di fare una nuova riforma che stravolga le funzioni del Mes, trasformandolo in una specie di fondo sovrano europeo che faccia investimenti e finanzi politiche industriali nazionali. Le parole di Gramegna sono semplicemente una mano tesa al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti per farlo uscire dall’angolo salvando la faccia. “Abbiamo avuto un ottimo scambio di opinioni – ha dichiarato Gramegna dopo l’Eurogruppo del 15 giugno a proposito di Giorgetti – gli abbiamo assicurato, e quando dico noi, intendo i paesi membri e la direzione del Mes, che c’è disponibilità a utilizzare il potenziale del nuovo trattato al massimo. Ma ovviamente, ciò può essere fatto solo una volta che il trattato sarà in vigore. Questo è il punto numero uno”.

 

Insomma, l’Italia deve ratificare. D’altronde, lo stesso Giorgetti non si è presentato con un atteggiamento battagliero per richiedere chissà quali stravolgimenti dell’accordo approvato da tutti i paesi dell’Eurozona (tranne l’Italia). Stando alle parole del commissario europeo Paolo Gentiloni, durante la riunione del Board of governors del Mes “il governo italiano attraverso il ministro Giorgetti ha ribadito le difficoltà che ci sono nel Parlamento italiano per la ratifica del trattato”. Una manifestazione d’impotenza politica, più che una prova di forza. Tra l’altro neppure veritiera. Perché nel Parlamento italiano i numeri per ratificare la riforma del Mes ci sono eccome: il M5s è favorevole, dato che l’accordo è stato siglato da Giuseppe Conte quando era premier; il Pd è favorevole e ne ha chiesto la discussione, così come i partiti del fu Terzo polo (Iv e Azione); Forza Italia è favorevole; mentre dubbi e lacerazioni ci sono all’interno di Lega e FdI che negli anni hanno condotto battaglie feroci contro il Mes. Ma complessivamente i numeri per la ratifica ci sono.

 

Le difficoltà non sono del Parlamento italiano, bensì della maggioranza di governo. E neppure si può pensare che la posizione rigida assunta da tutti gli altri paesi dell’Eurozona abbia l’obiettivo di mettere in difficoltà il governo Meloni. La necessità di approvare la riforma del nuovo trattato è ben spiegata, in maniera persino troppo ripetitiva, nel Rapporto annuale del Mes, appena approvato dal Board of governors (quindi anche da Giorgetti). L’innovazione più volte sottolineata è l’introduzione del cosiddetto backstop (un sostegno di emergenza) al Fondo di risoluzione unico per la gestione delle crisi bancarie: in pratica, in caso di una crisi bancaria sistemica, qualora le risorse del Fondo di risoluzione unico (Single resolution fund) non dovessero essere sufficienti a fermare il contagio, interverrebbe la rete finanziaria del Mes. Si tratta, come peraltro ha evidenziato più volte il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, di uno strumento richiesto e sollecitato proprio dall’Italia.

 

Per giunta, ci sono altri fattori che portano gli altri stati membri a spingere per la ratifica. Il primo è, come evidenzia il rapporto annuale del Mes, che “i recenti sviluppi nel settore bancario (leggi le crisi bancarie negli Stati Uniti e in Svizzera, ndr) sottolineano l’importanza di attuare il sostegno comune e continuare a lavorare all’unione bancaria come concordato dall’Eurogruppo”. L’altro è che si avvicina una scadenza tecnica. Gli stati membri, come soluzione ponte in attesa dell’introduzione del backstop, hanno stipulato degli accordi bilaterali di finanziamento, a copertura dei rispettivi settori bancari nazionali, per sostenere il Single resolution fund. Ma questo periodo transitorio si conclude a fine 2023, perché dal primo gennaio 2024 è previsto l’avvio di un meccanismo di mutualizzazione dei rischi come il backstop comune. Che però non può partire se l’Italia non ratifica la riforma del trattato. Questo il rapporto annuale del Mes lo sottolinea più volte. Meloni ha avuto molto tempo per far digerire la ratifica alla sua maggioranza, ora diventa sempre più complicato far digerire la sua inerzia a tutti gli altri paesi e alle istituzioni europee.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali